C’era il rischio di prendere sotto gamba questa collaborazione, pensando alla solita superband da “dopolavoro” che le star dell’indie spesso propinano ai loro fan più fedeli: niente di tutto questo, invece. Anzi, le Fishtank Session sono state per le due band un’ottima occasione per sperimentare e per influenzarsi a vicenda: non è un caso che Ellis abbia consigliato a Mimi (voce dei Low) un cantato più caldo e meno serafico e Alan (compagno in arte e nella vita di Mimi, alla voce e chitarra) ad imbracciare il banjo: i Dirty Three si sono così ottimamente sintonizzati sulla lunghezza d’onda dei Low, contenendo l’irruenza delle dinamiche in favore di un approccio al pezzo più misurato e introspettivo.
Nei sei brani che compongono l’album è la voce di Mimi a condurre i giochi, guidando il violino di Warren e la chitarra di Alan: basti l’esempio di “When I called upon your seed”, bellissima ballata al rallentatore che esalta alla perfezione le peculiarità delle due band; ma anche a “Lordy”, interessantissima rilettura di un gospel che piacerebbe a Cave e che, affidata a Low e Dirty Three, assume l’aspetto di un folk dal ritmo sostenuto, attraversato un refrain che Moby, per realizzare “Play”, avrebbe campionato volentieri.
(Davide Poliani)