Soulfly - PRIMITIVE - la recensione

Recensione del 08 dic 2000

Si sapeva già che Max Cavalera faceva sul serio quando si era messo a curiosare nei suoni etnici brasiliani. All’epoca, era ancora il cantante dei Sepultura, e l’album “Roots” aveva visto l’apparizione di un personaggio come Carlinhos Brown, musicista eclettico ma difficile da immaginare in mezzo a suoni così duri. Invece, il connubio aveva in qualche modo funzionato, e Cavalera ha continuato ad andare in quella direzione. Adesso si autoproclama “primitivo” per il secondo album dei suoi Soulfly e non c’è dubbio che, almeno in termini di brutalità, il primitivismo del buon Max ha pochi rivali. Quindi, gli ammiratori di vecchia data si possono tranquillizzare, gli interessi etnici di Cavalera non lo hanno trasformato in un alfiere della world music. Le urla e i fuck sono rimasti al posto centrale che loro compete, insieme ai pesantissimi riff di chitarra, e l’inserimento di corpi apparentemente estranei come il berimbau e le percussioni di Larry McDonald e Meia Noite suonano essenzialmente come un tentativo di dare un po’ di ossigeno a una musica che rischia di soffocare nella sua stessa rabbia. Il pregevole siparietto strumentale di “Soulfly II”, ad esempio, assolve bene a questo compito. Ma rimane comunque un episodio, perché l’album mette insieme essenzialmente un fragoroso campionario di suoni pesanti. Anche gli “special guests” presenti provengono in buona parte da territori musicalmente affini. Infatti Grady Avenall dei Will Haven, Chino Moreno dei Deftones, Corey Taylor degli Slipknot e Tom Araya degli Slayer (impegnati rispettivamente in “Back to the primitive”, “Pain”, “Jump da fuck up” e “Terrorist”) si impegnano a dare il loro contributo di durezza a pezzi già nati con la vocazione del bulldozer. Più curiosa la presenza di Sean Lennon, coautore di “Son song” insieme a Cavalera, che dà vita a un duetto che apre spiragli pop sui riff massicci dei Soulfly. Quanto al rap di “In memory of...”, a cura dei CutThroatLogic, non è più una novità: l’incontro fra rime e metal è ormai stato celebrato in tutti i modi, e questo non sembra uno di più entusiasmanti. Occasionali pecche a parte, il primitivismo dei Soufly offre qualche spiraglio a un genere condannato altrimenti a mostrare perennemente muscoli tesi e ceffi inviperiti. In fondo, a suo tempo anche i Led Zeppelin hanno dimostrato che rock duro e folk potevano viaggiare insieme senza troppi problemi. Certo, non era il tipo di rock duro che si sente in giro oggi ed era folk di matrice del tutto diversa rispetto a quello tirato in ballo da Cavalera, ma l’idea di base non era poi così distante. Le prossime prove mostreranno se la tempra del cantante brasiliano è quella del grande rocker o se è destinato a restare inchiodato a una monotona litania scandita da innumerevoli (e prevedibili) fuck.



(Paolo Giovanazzi)

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