Monaco - MONACO - la recensione
Recensione del
29 ott 2000
Se qualche fan ancora non ha perdonato ai New Order di non avere proseguito sull’elettrizzante strada della depressione iniziata coi Joy Division, ora sa con chi prendersela. Peter Hook ha preso un cantante dall’impostazione vocale sorprendentemente simile a quella di Bernard Sumner e ha messo in piedi la sua versione dei New Order, ovvero i Monaco. Risultato? Gli adepti che non hanno mai elaborato il lutto per Ian Curtis storceranno il naso inorriditi di fronte a brani il cui pop elettronico trae linfa - tanto per capirci tra “iniziati” - più dalla gioiosa “All the way” che non dalla rassegnata “True faith”. Dopo questo secondo disco di Hook e Potts è possibile affermare che quando i New Order decidono di passare la giornata al sole e mettere lo zucchero nel tè (e in effetti non di rado succede), diventano qualcosa di molto simile ai Monaco. Con la scusa del side-project, Hook non si nega nulla, nemmeno armonie vocali così vicine al melenso da sembrare ironiche (vedi “Ballroom” o “Bert’s theme”), o sgangherati assoli di melodica probabilmente eseguiti indossando una felpa di “Smile”. E ogni tanto fa capolino qualche piccola invenzione che, per quanto mai del tutto nuova perché già in qualche modo appartenente al repertorio dei N.O., fa venire la tentazione di parlare di piccolo capolavoro o quantomeno di album “cult”. Anche se è difficile capire quanto possa risultare gradito agli stessi fans dei New Order un disco che, tranne rari episodi di momentaneo abbattimento come la impeccabile “End of the world”, il più delle volte usa la malinconia come trampolino per la felicità, vedi “It’s a boy”, uno dei due brani cantati da Hook insieme a “See-saw” (il brano che “pompa”). Certo, in termini di popolarità l’afflizione paga più della felicità. Ma Hook non può farci niente: il tormento dell’artista, qualunque cosa sia, gli è fatalmente estraneo. Recentemente ha ammesso: “Amo quello che faccio, e continuo a meravigliarmi di averne avuto la possibilità. Continuo a temere che qualcuno entri dalla porta e mi dica: ora basta, ti sei divertito troppo”.