La leggenda vivente Mavis Staples, a 86 anni e oltre sette decenni di carriera alle spalle, riesce con questo “Sad and Beautiful World” a realizzare il suo miglior album solista. La carriera di Mavis Staples inizia nel 1948 nel gruppo di famiglia The Staple Singers con il padre Pop e le sorelle, che propongono un gospel-folk acustico a supporto delle rivendicazioni di Martin Luther King, anche se poi è negli ’60-’70 ad avere il maggior successo commerciale e parallelamente inizia anche una carriera solista con vari compagni di viaggio, da Prince a Ry Cooder, da Curtis Mayfield a Jeff Tweedy, alternando cover di classici a nuovo repertorio con risultati sempre di ottimo livello ma non veramente indimenticabili.
Un abbraccio gospel-soul
In questo suo ottavo album di questo secolo l’incontro sostanziale è con il produttore Brad Cook, già dietro i migliori lavori di Bon Iver, War On Drugs e Kevin Morby. Cook ha lavorato mettendo insieme brani originali e cover con lo scopo di raccontare il presente ma con un approccio tipicamente roots costruito intorno alla voce della cantante di Chicago.
Gli arrangiamenti sono ricchi e caldi, ma non risultano mai caotici o eccessivamente elaborati. Jeff Tweedy, Justin Vernon, MJ Lenderman e Katie Crutchfield hanno contribuito all'album, ma la loro presenza è discreta e di supporto, in netto contrasto con il solito approccio da duetto tipico degli album collaborativi tra artisti veterani e musicisti più giovani. Ed è proprio con questo mix tra gospel e soul che Mavis Staples prende il volo con la sua voce rauca e densa, che non ha perso nulla della sua forza espressiva e calore, per raccontare il presente con una sorta di speranza malconcia e agrodolce.
Le canzoni
Il disco parte a mille con l'infuocato r’n’b “Chicago” di Tom Waits (contenuto in “Bad as me” del 2011) con il duello di chitarre di Derek Trucks e dell’ottantanovenne Buddy Guy. Ma la parte da leone è rappresentata dalle dolci ballad, dalla title track che infonde un abbraccio confortante alla tristezza dell’originale degli Sparklehorse a "Beautiful Strangers” canzone di protesta di Kevin Morby trasformata in una mini-epopea agrodolce di empatia e solidarietà, da “Human Mind” che sembra un pezzo della Stax e invece è stata scritta da Hozier e Alison Russell apposta per il disco, fino alla languida e intramontabile - nonché molto attuale - “We got to have peace” di Curtis Mayfield. Da segnalare anche una lirica versione “Godspeed” di Frank Ocean che ne cattura tutto il fascino gospel-folk. Che disco straordinario!