I Motörhead hanno trovato dimora in una dimensione in cui le barriere tra generi non hanno ragione d’essere, e dove volume e rabbia si fanno linguaggi universali capaci di tracciare direzioni nuove, rendendo superflue tutte le etichette. Nel 1975, dopo il licenziamento dagli Hawkwind e un rifiuto delle convenzioni, Lemmy Kilmister formò una nuova band creando una formula sonora che nessuno aveva ancora codificato. La potenza dell'hard rock venne unita alla velocità di quei gruppi che allora stavano anticipando il punk, come i Motor City Five. Si accese così la scia di un’esplosione che continua ancora oggi. "I punk ci amavano. L’unico motivo per cui non eravamo tra loro era perché avevamo i capelli lunghi, quindi ovviamente dovevamo essere heavy metal", disse una volta Lemmy Kilmister, nel corso di un'intervista a Paul Du Noyer: "Questo era il pensiero. Ma molti ragazzi ci ascoltavano senza vedere una foto, quindi pensavano che fossimo una band punk". A partire dall'eponimo album del 1977 e dal secondo - più celebrato - "Overkill" del 1979, fino al disco considerato un classico, "Ace of spades" del 1980, grazie ai Motörhead molti gruppi hanno scoperto di poter essere più veloci, sporchi, rumorosi e incisivi. Un genere che ne ha beneficiato più di tutti è sicuramente il punk rock. Ed ecco arrivare un tributo al gruppo di Lemmy Kilmister da alcune delle formazioni più importanti e rispettate di quel suono, ispirato all’hardcore melodico ma reso immediato e potente.
"Killed by deaf – A punk tribute to Motörhead" nasce dalla consapevolezza che la band è stata un ponte tra hard rock, metal e punk, ergendosi a matrice sonora e culturale che ha insegnato a intere generazioni come fare leva su frenesia e immediatezza. Questo album tributo raccoglie quattordici tracce, tra cui tredici cover di altrettanti brani di Kilmister e soci riletti da nomi di punta del punk rock come - tra gli altri - Rancid, Pennywise, Lagwagon e Fear, insieme a giovani promesse come Slaughterhouse.
Il disco cerca di restituire ai Motörhead il riconoscimento che gli spetta per aver influenzato una generazione successiva di band e aver plasmato un suono che ha fatto scuola alla nuova corrente punk sviluppata a cavallo tra i fine Anni Ottanta e i primi Anni Novanta, fino a oggi. Tra coloro che rileggono ora un frammento dell’universo Motörhead si ritrovano proprio le band nate in quel periodo. Il compito di aprire le danze spetta inevitabilmente al brano più noto di Kilmister e soci, "Ace of spades", affidato alla furia e irriverenza dei Pennywise. "Sex & Death" trova la voce graffiata di Tim Armstrong dei Rancid, "Rock ’n’ Roll" si trasforma attraverso gli stravolgimenti melodici dei Lagwagon, mentre "The chase is better than the catch" esplode nell’anarchia dei Fear.
Dentro il disco si respira una riconoscenza collettiva, per cui non c’è imitazione, ma una trasmissione di energia, un passaggio di testimone da una generazione che ha inventato il rumore a una che lo ha strutturato in linguaggio. Spiccano le versioni di "Love me like a reptile" firmata dalla giovane band punk di Los Angeles degli Slaughterhouse, dove la tensione si fa fisica, e di "The Hammer", che ha riportato i Casualties in studio e che suona come un rituale di appartenenza. L'ultimo brano della tracklist è "Neat neat neat" dei Damned, nella versione che vide unirsi a loro nel 2002 il frontman dei Motörhead, scomparso il 28 dicembre 2015, e che ora diventa testimonianza storica.
Per quanto ciascuna band si sforzi di catturare quell’essenza, il confronto con i Motörhead resta comunque un’impresa impossibile. Reinterpretare Lemmy significa misurarsi con una voce che non era solo suono ma materia, con un timbro che odorava di Jack Daniel’s e di ferro, con un carisma che travalicava lo strumento e l’immagine. Ogni cover sembra inchinarsi davanti a una verità inamovibile: i Motörhead non possono essere rifatti, ma soltanto omaggiati ed evocati, come un’eco che ritorna da un tempo in cui la musica era ancora una questione di istinto e sopravvivenza. "Killed by Deaf" non tenta di reinventare i Motörhead, ma di ribadirne la centralità. Perché se il contributo della band al metal è ormai indiscusso, non bisogna dimenticare il suo ruolo nel modellare il punk, soprattutto la seconda generazione. In fondo, l’eredità dei Motörhead è proprio quella di un suono che non appartiene a nessun genere, ma che continua a farne vivere molti.