Con “The boy who played the harp”, Dave, rapper londinese classe 1998, non torna semplicemente sulla scena: ritorna con una dichiarazione d’intenti. Dopo il suo secondo album “We’re All Alone in This Together” del 2021 e l’ep collaborativo con Central Cee “Split Decision” del 2023, questo nuovo progetto arriva come nuovo album solista in oltre quattro anni. È un viaggio ampio e coerente, che racconta la maturità di un artista sempre più consapevole del proprio ruolo e della propria voce. Dal punto di vista musicale, Dave lavora con finezza. La produzione è più pensata, i beat si aprono a spazi melodici, le armonie privilegiano pianoforte, organo, chitarre, sintetizzatori, linee vocali ariose, e una cura dei dettagli che dà al disco un respiro cinematografico. L’arpa qui diventa un simbolo: uno strumento associato a melodie eteree e pure, che ben si lega all’idea di un universo più riflessivo, melodico e intimo rispetto a un classico disco rap aggressivo.
In “History”, con James Blake, l’album si apre con un tono introspettivo: un brano che alterna confessione e determinazione, tra successo e memoria delle proprie origini. In “Raindance”, accanto alla voce di Tems, la struttura si fa più morbida e soul, mostrando il lato più melodico e universale del rapper londinese. Ma “The boy who played the harp” è tutt’altro che un esercizio di stile. Dave usa il rap come strumento di racconto e analisi, fondendo il personale con il collettivo. In “Chapter 16”, il dialogo con Kano diventa un confronto tra generazioni, un passaggio di testimone che riflette su identità e responsabilità. In “No Weapons”, con Jim Legxacy, cita il profeta Isaia per raccontare fede e resistenza, mentre in “Marvellous” smaschera la fascinazione per la violenza e la gloria effimera della strada: “Ha rapinato un uomo e si sente meraviglioso”, dice con amara ironia. “Fairchild”, con Nicole Blakk, invece affronta il tema della violenza di genere e della complicità maschile, in uno dei momenti più crudi e onesti dell’intero album.
Il filo conduttore è la tensione tra coscienza e contraddizione. Quando a un certo punto in “175 Months” Dave, in un dialogo con Dio, chiede “How am I tryna pray for Congo with these diamonds on my neck?”, “Come posso pregare per il Congo con questi diamanti al collo?”, riconosce il conflitto tra privilegio e colpa, tra desiderio di riscatto e responsabilità morale. È in queste fratture che l’album trova la sua forza. “The boy who played the harp” è un disco che richiede ascolto, ma sa essere accessibile. Le melodie e le rappate sono curate, mai gratuite, e ogni canzone costruisce un tassello di un racconto ampio, profondo, umano. Meno immediato di altri album rap, ma più denso, più vero. Dave firma un’opera che parla di sé e del mondo con la stessa urgenza, trasformando una sorta di sperimentazione in verità. Un ritorno importante, che conferma la sua statura di artista. Non è un caso che in molti lo collochino tra i dischi rap più importanti dell'anno.
TRACKLIST:
History (featuring James Blake)
175 Months
No Weapons (featuring Jim Legxacy)
Chapter 16 (featuring Kano)
Raindance (featuring Tems)
Selfish (featuring James Blake)
My 27th Birthday
Marvellous
Fairchild (with Nicole Blakk)
The Boy Who Played the Harp