I numeri 1: Come Steven Wilson ha esaudito i desideri dei fan dei Pink Floyd

Durante l’estate, le recensioni degli album andati al primo posto in classifica nel 2025 fino ad ora

Recensione del 11 ago 2025 a cura di Nino Gatti

Voto 9/10

Se il film è già noto agli appassionati della band inglese, che conoscono a menadito ogni fotogramma della pellicola, l'edizione audio è una vera e propria novità per la discografia pinkfloydiana. “Live at Pompeii” è stato il titolo più bootlegato nella storia dei Pink Floyd sin dalla sua prima edizione illegale in vinile del 1975, ma non per questo ha perso fascino e interesse da parte dei fan. L'edizione ufficiale del 2025, intitolata “Pink Floyd at Pompeii – MCMLXXII”, propone una qualità audio senza rivali, grazie al lavoro di Steven Wilson, che oltre alla sua carriera da musicista, sia solista sia con i Porcupine Tree, ha affiancato quella di fine curatore di progetti surround, lavorando sui cataloghi di King Crimson e Jethro Tull.

Steven Wilson e i Pink Floyd

Il popolo pinkfloydiano ha già potuto apprezzare la maestria di Wilson nel 2023, in occasione del remix di “Wet Dream”, primo album solista di Richard Wright, compianto tastierista dei Pink Floyd. Senza nulla togliere a quel disco del 1978, l'attesa intorno al remix audio 2025 di “Live at Pompeii” è stata a dir poco febbrile. I Pink Floyd, celebri per l'attenzione da sempre riservata alla qualità delle loro registrazioni in studio, si sono confermati maestri del suono anche per le musiche del film di Adrian Maben. Anche nella colonna sonora del film, la mano della band in fase di post-produzione è stata fondamentale. Si sa che la versione finale della pellicola, distribuita nella versione completa per la prima volta negli USA nel 1974, conteneva tre canzoni girate a Pompei nell'ottobre 1971 (“Echoes” divisa in due parti, “A Saucerful of Secrets” e “One of These Days”), tre canzoni registrate a Parigi nel dicembre 1971 (“Set the Controls for the Heart of the Sun”, “Careful with That Axe, Eugene” e “Mademoiselle Knobs”) e una serie di riprese della band agli Abbey Road Studios di Londra nell'ottobre 1972.

Cosa c’è nell’album

“Pink Floyd at Pompeii – MCMLXXII” comprende soltanto le canzoni dal vivo, tralasciando interamente le interviste e le sedute d'incisione dell'album “The Dark Side of the Moon”, presenti invece nelle nuove versioni DVD e Blu-ray del film.
A parte le prove in studio del 1972, le musiche del film di Maben non sono mai state completamente live. Nel dicembre 1971, dopo aver registrato a Parigi le tre canzoni mancanti per completare il film — sopperendo con nuove riprese ai disastri tecnici avvenuti nella cittadina campana qualche settimana prima — la band si è dedicata alla correzione e al miglioramento di molte parti audio per offrire agli spettatori una qualità all'altezza delle immagini.

Un esempio lo si nota nei primi minuti del film, poco prima della sezione cantata di “Echoes – Part 1”, quando si vede Richard Wright al pianoforte, ma si sente anche il suono dell'organo, sovrainciso da lui due mesi dopo a Parigi. Per non parlare delle voci di Gilmour e Wright in “Echoes”, corrette in studio come testimoniato nel documentario “Chit Chat with Oysters” realizzato da Maben nel 2013 (consigliata la versione ufficiale sul sito cinematheque.fr). Correzioni che non sorprendono i fan dei Pink Floyd: già nel 1969, per l’album “Ummagumma”, la band aveva ritoccato in studio le registrazioni live, come nel caso della nuova performance vocale aggiunta in “Set the Controls”, un'esperienza replicata anche nel film di Maben, dove sono evidenti le sovraincisioni della voce di Waters.

Le correzioni audio sono testimoniate anche dalle due bonus track “Careful with That Axe, Eugene” (6:08) e “A Saucerful of Secrets” (12:46), contenute nel secondo CD e sulla quarta facciata in vinile dell’album. È facilmente identificabile il momento in cui furono incise queste due outtakes: “Saucerful” è indicata come versione unedited, perché nel film fu usata solo in parte, mentre “Careful” non è mai stata suonata a Pompei e proviene dalle sessioni nei Boulogne Studios di Parigi (dicembre 1971). Di certo, non sono le uniche tracce inedite rimaste fuori; molti fan le avrebbero volute tutte.

Per completezza, va aggiunto che la traccia strumentale utilizzata all'inizio del film, indicata nel doppio CD come Intro (3:31) — che nel 1973 diventerà “Speak to Me” — fu con ogni probabilità realizzata dalla band in sala prove tra fine 1971 e inizio 1972, ed è molto simile a quella usata nelle esibizioni live della versione embrionale di "The Dark Side of the Moon", suonata per la prima volta il 20 gennaio 1972 a Brighton.

L’ascolto, senza immagini

“Pink Floyd at Pompeii – MCMLXXII” riesce a coinvolgere anche all’ascolto, al di fuori del film di Maben. La prima traccia è Intro (3:01), un battito di cuore su cui si muovono suoni del sintetizzatore VCS3, che nel mix 5.1 regaleranno le stesse sensazioni vissute al cinema.

Su “Echoes – Part 1” (12:00) il missaggio degli strumenti è da brividi: senti la band come se fosse lì davanti a te, quasi fossi seduto nell’anfiteatro di Pompei. Il suono è pazzesco e, quando arrivano le voci di Gilmour e Wright che si fondono magicamente, sei già KO. Quando arriva l’attesissimo solo di chitarra, Gilmour non si risparmia: ti travolge con i polpastrelli che danzano sulle corde della sua Fender, mentre Wright graffia l’anima con l’Hammond in un crescendo di note che emoziona ogni volta. E cosa dire del maestoso drumming di Mason? Sorrido ripensando a un commento sentito all’uscita del cinema qualche giorno fa: «Certo che Mason era proprio scarso». Non so chi fosse, ma sicuramente non capisce molto dei Floyd... né di questa musica immensa.

La sezione funky di “Echoes – Part 1” cresce lentamente ed esplode nel classico Pink Floyd Sound. Negli anni ho raccolto testimonianze di tanti fan che preferiscono questa versione a quella ufficiale dell’album “Meddle”, pubblicato il 30 ottobre 1971.

Segue “Careful with That Axe, Eugene” (6:37), accorciata per esigenze cinematografiche rispetto alle versioni live dell’epoca (in alcuni concerti superava i tredici minuti), ma così vibrante e travolgente da competere con quella contenuta in "Ummagumma" del 1969. L’intro è sinuosa e misteriosa, con i classici rimandi orientaleggianti di Wright che ti rapiscono. Gilmour alterna voce e chitarra in perfetto stile scat, mentre Waters sussurra frasi prive di senso, caricando di tensione la linea di basso, fino a pronunciare due volte la parola “Careful” e infine l’intera minacciosa frase. Poi la musica esplode più potente di un vulcano, mentre l’urlo disumano di Waters devasta tutto, con Gilmour che taglia l’aria con la sua chitarra. È un concentrato dell’essenza dei Pink Floyd, che si snoda in pochi, magici secondi, solenni e minacciosi come la lava. Il suono poi si placa, l’atmosfera rallenta fino al respiro finale di Waters, che sembra annunciare il triste trapasso del protagonista. A mio parere, quella del film di Maben è una delle migliori esecuzioni mai registrate di questo brano.

“A Saucerful of Secrets” (10:15), realizzata montando più esecuzioni, è condensata rispetto agli standard live della band, che in concerto spesso superava i venti minuti. "Saucerful" richiede una predisposizione quasi al martirio da parte dell’ascoltatore: è un viaggio nell’inferno sonoro dei primi Floyd, tra suoni che si trasformano in vibrazioni violente, fantasmi, devastazioni, pandemoni e incubi strumentali. Il drumming circolare di Nick non fa prigionieri, mentre Rick violenta i tasti del pianoforte a coda (per fortuna, nell’anfiteatro non sembrano esserci i proprietari napoletani che avevano affittato lo strumento alla produzione!). David lancia stilettate sonore cariche di feedback, mentre Roger prima distrugge i piatti e poi colpisce con forza il gong, tra la gioia del regista. È un delirio sonoro, colonna sonora di viaggi interiori riservati a pochi eletti. Quando tutto sembra finito, i tamburi di Mason si placano e Gilmour lancia gli ultimi archi sonori verso il cielo dell’anfiteatro. Wright chiude con un finale solenne all’organo in stile ecclesiale, che da solo vale l’intero concerto. Il crescendo finale dei quattro è di una bellezza inaudita, e resistere alle lacrime di sincera emozione sarebbe un reato. Quando arriva la voce celestiale di Gilmour, sai di non avere scampo: puoi solo inginocchiarti e ricevere la benedizione floydiana... con rito assolutamente (e ovviamente) laico.

Le immagini del film si sono così tanto fuse con l’anima di ogni fan pinkfloydiano che è praticamente impossibile ascoltare queste musiche senza che le immagini appaiano nitide nella mente.

“One of These Days” (6:00) mi riporta al mio primo vero incontro con i Pink Floyd, grazie a un juke-box che nel 1972 lo proponeva con ossessione. Basso e tastiere, assenti visivamente nel film, ritrovano il loro posto nel mix, che ricostruisce la vibrazione sonora di quella sera del 6 ottobre 1971, quando il pezzo sembrò risvegliare le anime che riposano tra le pietre degli scavi. Il mix curato da Wilson valorizza chitarra, basso e tastiere, senza mai coprire le percussioni potenti (e prepotenti) di Nicholas Berkeley Mason.

“Set the Controls for the Heart of the Sun” (10:29) mantiene quel fascino che si rinnova a ogni ascolto. Esistono online molte versioni live del pezzo, fin dagli anni con Syd Barrett nel 1967. A Pompei le voci di Waters e i cori di Gilmour sono stati sapientemente ritoccati in studio. L’ossessiva batteria di Mason cresce in un crescendo travolgente, mentre la chitarra ruggisce e le tastiere si lanciano in un ispirato fraseggio orientale, culminando nel colpo di gong suonato con vigore da Waters. I due minuti successivi di tastiera sono puro viaggio interstellare offerto da Wright, più lisergici di qualsiasi trip terreno.Il brano si chiude riprendendo la struttura iniziale, con il suono evocativo del gong.

Il grande mistero floydiano

Solo ora mi rendo conto che grazie al film di Adrian Maben i Pink Floyd sono riusciti a rendere immortali canzoni che già brillavano di luce propria. Quando pensi di aver capito il “grande mistero floydiano”, arriva il colpo di genio a smentirti. In questo punto del film (e anche nel nuovo CD), ogni possibile interpretazione viene spazzata via dai 115 secondi del blues per armonica, chitarra e vocalizzi canini di “Mademoiselle Nobs”, totalmente fuori contesto se paragonato al resto della scaletta. Ma nulla è scontato con i Pink Floyd… dopotutto, il loro nome fu inventato da Syd Barrett unendo quelli di due bluesman della Carolina: Pink Anderson e Floyd Council. Tutto torna… o no?

Il finale del film è riservato a “Echoes – Part 2 (13:24)”, che nei primi momenti riprende la sezione centrale della versione in studio di Meddle. Questa parte fu probabilmente incisa a Parigi, per poi essere montata da Maben insieme al materiale registrato nell’anfiteatro. Come in "Set the Controls", anche qui il finale riprende la struttura iniziale del brano, chiudendo con le stesse sonorità dell’apertura.

Le bonus tracks

Per rendere ancora più speciale il contenuto del CD P c’è un insperato regalo per i fan: due bonus track, una delle quali inedita. Si tratta di materiale storico e prezioso, pensato per i più esigenti.

La prima è una alternate take di “Careful with That Axe, Eugene” (6:08), che i Pink Floyd avevano già inserito nel 2016 come traccia aggiuntiva del CD audio "Live at Pompeii", incluso (erroneamente) nel box “The Early Years 1965–1972”, al posto del mix 2016 dell’album “Obscured by Clouds”. Questa “nuova” versione di "Careful", incisa a Parigi e non a Pompei, è diversa da quella del film. Non è chiaro se esistano riprese video corrispondenti, o se ne sia stato conservato solo l’audio. Ascoltandola, si comprende però come mai questa esecuzione non abbia avuto la meglio su quella utilizzata nel film, che si conferma di gran lunga superiore.

Il secondo brano è l’unico veramente inedito, anche se solo in parte: si tratta infatti della versione unedited di “A Saucerful of Secrets” (12:46). Ciò significa che alcuni spezzoni di questa esecuzione sono stati già utilizzati nel film, come ad esempio la sezione finale della suite. Questa versione integrale permette di apprezzare l’intera costruzione del brano, senza tagli o montaggi, e aggiunge valore al pacchetto, sia per completezza storica sia per la qualità artistica.

“Pink Floyd at Pompeii – MCMLXXII” è rimasto per decenni in cima alla wish list di moltissimi fan della band. Ora che è finalmente disponibile, gli appassionati si interrogano già su quale potrà essere la prossima uscita ufficiale in grado di saziare l’insaziabile desiderio di novità storiche legate alla gloriosa carriera dei Pink Floyd. Uno dei titoli più attesi potrebbe essere quello legato al cinquantenario di “Wish You Were Here”, che cadrà il prossimo settembre.

 

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