L’album si apre con un brano, “Hello heaven, hello”, lungo 9 minuti e 6 secondi che parte come un pezzo in puro stile britpop, prima di cambiare completamente pelle e trasformarsi in un pezzo hard rock con un’interpretazione a metà strada tra l’Axl Rose dei tempi d’oro e il migliore Brian Johnson (ma con l’autotune?) e infine chiudersi con una coda sinfonica: è l’ultimo barlume di follia dell’artista che Mick Jagger definì «il futuro del rock» e Dave Grohl «la prova che il rock and roll non è morto». Già, perché con “Idols” Yungblud prova a mostrarsi meno ingestibile e inetichettabile che in passato e a raccontare le sue maturità e le sue consapevolezze. Più pompiere che incendiario: non è forse mostrarsi “normali”, oggi, il vero rock’n’roll?
Lui che nei suoi primi lavori, da “21st Century Liability” a “Yungblud” del 2022 cantava di un passato fatto di incidenti di percorso e traumi, che raccontava di aver tentato il suicidio più volte e che infarciva i testi delle sue canzoni di luoghi comuni su abusi e dipendenze, ora si mostra in una veste nuova, decisamente diversa. C’è una canzone che rappresenta alla perfezione l’essenza del nuovo Yungblud. Si intitola “Change” e non a caso Dominic Richard Harrison, questo il vero nome del 27enne artista di Doncaster, che è riuscito a scampare all’iscrizione al triste club delle rockstar prematuramente scomparse, ha scelto di metterla al centro esatto del disco. È una ballatona interpretata con struggimento e trasporto, nella quale Yungblud canta a pieni polmoni la sua nuova vita: «Questo è stato il punto di transizione più importante della mia vita e questa canzone è stato il momento fondamentale in cui mi sono davvero confrontato con me stessa e ho capito che non stavo bene», racconta.
Così, Yungblud ha cominciato a ripensare e a ricostruire sé stesso. Allontanandosi dai luoghi comuni, dai cliché e anche dalla maschera che aveva indossato fino a prima di cominciare a lavorare a questo album. Il ruolo dell’artista maledetto lo stava rendendo in un modo o nell’altro schiavo: «Così non riesco a respirare», canta lui in “Idols, pt. 1”. Che è una sorta di “Heroes”, ma suonata dagli U2 (le chitarre à la The Edge tornano spessissimo nei brani dell’album). E più agrodolce, nostalgica e personale di quella di Bowie: «Questa canzone parla di me da bambino, di ambizioni e sogni. Ci comportavamo come re, regine, rock star e infermiere, ma poi razionalizzavamo tutto e lasciavamo che la nostra luce si spegnesse. Il concept dell'album non è un omaggio ai miei idoli, ma un mio allontanamento da loro», racconta Yungblud. Per non avere distrazioni, il cantautore britannico ha deciso di registrare l’album in una vecchia fabbrica di birra a Leeds, appena fuori dal luogo in cui è cresciuto, nel nord dell'Inghilterra, con i produttori Matt Schwartz e Bob Bradley (già al fianco di Massive Attack, Bullet for My Valentine, Robbie Williams, Morcheeba) e il chitarrista Adam Warrington. In “Idols”, Yungblud esplora il tema dell'adorazione degli eroi, il modo in cui guardiamo gli altri per ottenere una conferma, «spesso mettendo le vite altrui su un piedistallo a spese dell’arricchimento delle nostre esperienze»: «Ci rivolgiamo agli altri per trovare un'identità prima di rivolgerci a noi stessi. Crediamo in noi stessi, ci riabilitiamo, ci evolviamo e cambiamo. Crescendo, perdiamo la fiducia nella magia e nel mistero. Cominciamo a razionalizzare tutto, a costruire le nostre gabbie».
Yungblud ha costruito una nuova estetica mettendo insieme riferimenti che vanno dai primi Coldplay a Robbie Williams, passando per gli stessi U2 e gli Oasis, ai quali ha guardato tantissimo per il singolo “Lovesick lullaby” («Ho sempre voluto fare il britpop con l’eyeliner, ero ossessionato da Trent Reznor e Brian Molko, poi ho scoperto gli Stone Roses e gli Oasis»), nel quale canta: «Ho comprato dell'hashish da uno spacciatore in un patetico tentativo di impressionare i miei amici». Il cantautore britannico dice di «non essersi mai sentito tanto lucido» e di «non essere mai stato tanto orgoglioso nel sostenere qualcosa» che ha creato. E si sente, ascoltando l’album: c’è cura, amore, passione. E voglia di scrivere un finale diverso da quello che i media avevano previsto per lui: «Abbiamo fatto esattamente ciò che ci eravamo prefissati di fare. Questo album è un’avventura e voglio che chiudiate gli occhi e vi perdiate».