“Sinister Grift” l'ottavo album di Noah Benjamin Lennox – aka Panda Bear – è uscito da quasi un mese, ma ho preferito ascoltarlo con calma e far uscire la recensione all'indomani dell'inizio della primavera, perché mi sembra il disco adatto per accompagnare il risveglio di questa stagione.
Questo album arriva dopo cinque anni di assenza da solista, anche se il buon Noah non si è mai fermato, sia con i suoi Animal Collective, sia in altri progetti come quello di due anni fa - “Reset” - composto e suonato in collaborazione con Sonic Boom; ma, a differenza dei suoi precedenti lavori, “Sinister Grift” è decisamente più accessibile e leggero, seppur sempre totalmente immersivo e psichedelico.
Intimista e retrò
Sempre fedele al suo approccio multidimensionale al suono, Noah Lennox crea qui un'opera organica, in cui la sua voce eterea fluttua su arrangiamenti vaporosi e calde texture. Nel suo studio di Lisbona ha suonato tutti gli strumenti, ad eccezione degli interventi dei suoi tre compagni del gruppo origirario di Josh “Deakin” Dibb, Brian Weitz e Dave Portner, alla compagna Rivka Ravede (compagna di Lennox e cantante degli Spirit of the Beehive)
Ma sia dai suoni che dai testi si capisce che è un disco estremamente intimo. I brani scorrono con una dolcezza ipnotica, sostenuti da armonie delaticata e da una produzione non invadente. Alla base c'è un suono retrò con le tanto amate armonizzazioni dei Beach Boys, le melodie mccartneiane e certi languori à la Glen Cambbel, ma poi Lennox aggiunge reggae, dub, elettronica e bizzarri impasti orchestrali che rendono l'ascolto irresistibile e ci vogliono più ascolti per notare che il disco parte potente, leggero e allegro, per poi nella seconda parte diventare sottilmente malinconico, affrontando il tema dell'abbandono e dell'elaborazione del lutto.
Le canzoni
I primi 12 minuti sono ciò che di meglio è stato realizzato da Panda Bear nei suoi lavori. La baldanzosa “Praise”, il floatin' di “Anywhere but here” arricchito dallo spoken word portoghese della figlia e il dub-pop di “50mg” che reinventa le convenzioni della canzone, sono un tris da straordinario. Ma ogni canzone è una sorpresa, dal reggae fusion di “Ferry Lady” ai barocchismi di “Ends Meet”, dalla lunga e dolente “Elegy for Noah Lou” alla finale “Defense” arriccchito dalla chitarra di Cindy Lee che ci porta nel mondo lo-fi che ha stregato molti in “Diamond Jubilee”. Un album dentro cui immergersi con gran piacere.