La fuga di Kesha dal pop con "Gag order" convince a metà

Nel disco, prodotto da Rick Rubin, la popstar racconta gli abusi subiti. Ma le canzoni?

Recensione del 22 mag 2023 a cura di Mattia Marzi

Voto 6/10

“You never know that you need somethin’ to believe in when you know it all”, canta a mo’ di mantra Kesha in “Something to believe in”, il brano che apre “Gag order”, su sonorità ansiogene tra l’industrial e la world music più percussiva che restituiscono il senso di angoscia e l’inquietudine alla base del nuovo album della popstar. “I don’t know who I am at all”, “Non so neppure chi sono”, sussurra la voce di “TikTok”, che ha passato gli ultimi sei anni della sua vita tra gli studi dei suoi avvocati e le aule del tribunale, impegnata a portare avanti la battaglia legale intrapresa otto anni fa, quando denunciò il suo (ex) produttore Dr. Luke accusandolo di aver abusato sessualmente e psicologicamente di lei, cercando così di recedere il contratto che la legava all’etichetta Kemosabe Entertainment gestita dallo stesso Dr. Luke. Cercava solo “qualcosa in cui credere”, come canta nel brano che apre “Gag order”. Qualcosa in cui tornare a credere, per meglio dire, dopo aver perso tutto, o quasi. Quello che voleva perdere, paradossalmente, non l’ha perso: dalla lunga battaglia legale Kesha è uscita sconfitta (e a luglio è attesa un’altra sentenza, quella relativa alla contro-accusa di Dr. Luke, che ha scelto di trascinare di nuovo in tribunale Kesha sostenendo di essere stato diffamato), il contratto con la Kemosabe Entertainment è ancora in essere, ma in compenso Kesha ora ha dalla sua un altro produttore. E mica l’ultimo arrivato: Rick Rubin, il guru della musica statunitense, la cui specialità è quella di rilanciare carriere (ricordate cosa fece con Johnny Cash?). Con il quale la popstar prova a ripartire.


In “Gag order” - a proposito: il titolo del disco riprende un’espressione che nel gergo giuridico angloamericano sta per “obbligo di riservatezza”, un’allusione alla causa - Kesha ci racconta il viaggio dalle tenebre alla luce. E lo fa senza strizzatine d’occhio al pop d’alta classifica. Mostrandoci la sua “dark side”. Morte, depressione, sfruttamento emotivo, abusi psicologici: sono le tematiche alla base delle tredici canzoni contenute in “Gag order”. A Rick Rubin la popstar ha chiesto di aiutarla a trovare un suono che riuscisse a esprimere in musica i suoi tormenti interiori. Le sonorità guardano un po’ al rock lo-fi, un po’ alla psichedelia à la Flaming Lips (“The drama” - ma non era Miley Cyrus quella ad aver fatto un disco con Wayne Coyne e soci?) E un po’ anche all’industrial: “Dopo un decennio in cui mi sentivo come se fossi diventata una caricatura di me stessa in un modo o nell’altro, mi ha detto: ‘Voglio davvero sapere cosa sta succedendo dentro di te’. Rick ha fatto spazio alle imperfezioni e le ha abbracciate quasi al punto da farmi apprezzare le parti di me che sono imperfette”, ha raccontato Kesha.



Il progetto è tutto sommato affascinante e a tratti anche disturbante. E non solo musicalmente parlando, ma anche a livello di estetica. Nella copertina Kesha è fotografata a mezzobusto con in testa una busta di plastica che le impedisce di respirare, di prendere ossigeno: è naturalmente una metafora degli ultimi otto anni della vita - e della carriera - della cantautrice. Nel video di “Eat the acid”, invece, mani sconosciute violentano il volto di Kesha, inerme, infilandole le dita nella bocca e tirandole la pelle.

Quello che manca, forse, sono le canzoni. Che sì, saranno tutte ispiratissime, ma non sempre l’ispirazione viene veicolata nel modo più coinvolgente possibile. Nella maggior parte dei casi i pezzi sembrano respingenti, fin troppo cervellotici, contorti (forse volutamente?). Non sempre Kesha e Rubin riescono a trovare il giusto equilibrio, la giusta misura tra i contenuti e un modo per renderli accessibili. Eppure qualcosa che si salva c’è, in quaranta minuti di musica. “Only love can save us now” è un mezzo inno fricchettone sul potere salvifico dell’amore, con un ritornello potente, anche grazie alla presenza di un coro gospel. E poi c’è “Fine line”, la canzone più riuscita del disco, una ballata sporcata di elettronica in cui Kesha canta di dottori e avvocati che vogliono tagliarle la lingua e di pensieri suicidi: “Sono sulla cima di una montagna con una pistola puntata alla testa”. La popstar racconta di essere stanca di camminare sospesa su un filo, su una linea sottile, quella che divide il genio e la pazzia: “Questa vita non è mai stata mia”, dice lei, che aveva solamente 23 anni quando con “TikTok” si ritrovò catapultata in testa alle classifiche mondiali vendendo solo con quella hit e con il relativo disco qualcosa come 30 milioni di copie. Quella vita, ora, Kesha prova a riprendersela.

Tracklist

01. Something To Believe In (03:29)
02. Eat The Acid (04:02)
03. Living In My Head (03:06)
04. Fine Line (03:26)
05. Only Love Can Save Us Now (02:34)
06. All I Need Is You (03:01)
07. The Drama (04:23)
08. Ram Dass Interlude (01:14)
09. Too Far Gone (02:16)
10. Peace & Quiet (02:57)
11. Only Love Reprise (01:15)
12. Hate Me Harder (02:48)
13. Happy (04:22)

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