Una sorta di concept con rete a maglia larga, ma molto ben definita, all’insegna dei traumi della crescita e – nello specifico – quelli affrontati dal chitarrista/cantante e autore dei testi James Hetfield durante i suoi travagliatissimi anni giovanili: questio il contesto di 72 Seasons, il nuovo album dei Metallica: il titolo del disco avrebbe dovuto essere un più didascalico e diretto 72 Seasons Of Sorrow, come ha dichiarato Hetfield stesso recentemente.
Una tematica decisamente pesante, all’insegna di un viaggio di autoanalisi che si dipana sotto agli occhi di tutti e non è un mero – e forse semplicistico, a ben vedere – mettersi a nudo abbassando le difese, ma propone riflessioni e prese di coscienza giunte ora, alla soglia dei 60 anni, facendo tesoro del bagaglio di esperienze di una vita. Se a tutto ciò addizioniamo il carico da novanta di un divorzio recente con l’ormai ex compagna Francesca Tomasi – dopo 25 anni di matrimonio – e di un nuovo percorso di rehab per disintossicarsi, è ancora più chiaro che lo stato d’animo del buon Hetfield (che non si è decisamente fatto mancare nulla a livello di guai e casini assortiti) non poteva essere certo spensierato o leggero… la voglia di scavarsi dentro doveva necessariamente avere la meglio su tutto il resto, come se fosse ormai il tempo di tirare una riga e chiudere il bilancio.
72 Seasons è un buon disco dei Four Horsemen nella loro incarnazione degli ultimi due decenni abbondanti e molto probabilmente non ci si poteva attendere di più. Se vogliamo andare un po’ più a fondo, è un tentativo – chissà se studiato a tavolino o istintivo – ricco di mestiere di coniugare la loro anima più rock e mainstream degli anni Novanta con quella dell’esuberanza giovanile (alcuni riff e brevi passaggi richiamano addirittura Kill ’Em All, fatte le debite proporzioni). La produzione suona contemporanea e solida, macinare riff non è mai stato un problema per la premiata ditta Hetfield/Ulrich/Hammett (mi perdoni Trujillo, ma è palese che dopo la tragedia che si è portata via Cliff Burton lo slot di bassista nei Metallica è stato occupato da ottimi professionisti, ma non da veri e propri membri della band), i cantati sono in gran parte convincenti e almeno tre dei quattro singoli che hanno preceduto l’uscita hanno le potenzialità per diventare presenze fisse – o quasi – nelle scalette live (Lux Æterna al 100%). Quindi un ascolto gradevole e a tratti quasi sorprendente, in particolar modo per chi – magari – i Metallica li ha scoperti e amati nella loro seconda fase.
72 Seasons non è un album sintetico, anzi: i Metallica già dal secondo album hanno manifestato questa tendeza che li porta a dilatare, a loop di riff suonati all’infinito o quasi, aggiungere passaggi e frazioni allungano i brani. Col tempo – e soprattutto negli ultimi 20 anni o poco più – la tendenza pare essersi consolidata e infatti 72 Seasons ha una durata che supera i 77 minuti (77’:14” per l’esattezza)… un tour de force che può richiedere più session di ascolto. I Metallica odierni dovrebbero imparare a praticare l’arte dell’auto-editing, eliminando ciò che non è davvero essenziale alle loro composizioni. Ma sicuramente a loro interesserà poco un rilievo del genere e se la rideranno (un po’ come ha fatto Hammett con chi ha criticato pesantemente i suoi solo in 72 Seasons): del resto è un loro pieno diritto.
Ma, per chiudere questo rant in bellezza, è altrettanto sicuro che molti di quelli che non compreranno questo nuovo album – perché poco attirati dai Metallica a.D. 2023 – si troveranno sotto a un palco per vederli dal vivo, dimensione in cui la band continua a essere una macchina da guerra.