“Molti la considerano la Rosalía italiana perché la sua musica tiene insieme la tradizione con l'elettronica contemporanea: un ultrapop che affonda le radici nel Mediterraneo e nel Golfo di Napoli, ma rielabora sonorità che vanno dal Sudamerica a Bristol, da Berlino a Tokyo”. Si legge così nella mail di presentazione di “Vanitas”, il nuovo album de La Niña. Una presentazione, come spesso accade, forse un po’ esagerata. Carola Moccia, questo il suo vero nome, classe 1991, non è la “Rosalía italiana” come direbbero “molti”: è forse più un mix fra Liberato e Teresa De Sio, e nella sua musica ci sono certamente influenze multiple e interessanti, ma che non fanno il giro del mondo in modo così ampio.
E anche sul fronte della sperimentazione e del recupero della tradizione, perché questa possa davvero diventare un tratto caratteristico della propria musica (come lo è per Rosalía), è necessario fare di più. In “Harakiri”, per esempio, uno dei brani più belli del disco insieme a “Blu” che ricorda la migliore FKA twigs, c’è una tammorra (strumento musicale a percussione) che sostituisce il basso. Un buon punto di partenza per osare ancora e ancora, perché il talento c’è, va coltivato e portato avanti. Diversi pezzi del progetto, però, non stuzzicano la curiosità come vorrebbero e profumano di già sentito. La Niña non si affaccia per la prima volta sul panorama musicale: ha miliatato nei Yombe (duo elettronico che ha pubblicato per Carosello), ha all'attivo collaborazioni con Gemitaiz, Franco Ricciardi (“Tu” ha più di cinque milioni di ascolti su Spotify), Clementino e Myss Keta e porta avanti molte connessioni con la danza e la moda. Nelle sue canzoni, la cantante crea un ponte tra generi in voga nei circuiti alternativi elettronici, frulla tutto con il sound urban e il folclore/mondo partenopeo, recuperandone anche il dialetto. La sua musica oscilla infatti tra passato e contemporaneità.
Un contributo importante per l’immaginario del progetto, che segue l’ep “Eden” del 2021, lo offre il producer, video artist e polistrumentista partenopeo Alfredo Maddaluno, in arte Kwsk Ninja, anche lui proveniente dagli Yombe. Il disco è composto da otto nuovi brani, otto simboli, otto visioni: Vànitas come durata effimera, caducità, perenne transitorietà dell’umano, comune destino all’appassimento e alla sfioritura, è dunque l’intuizione primaria che sta al fondo dell’album. Fra creature mitologiche e intelligenza artificiale, citazioni di Mozart, riferimenti alla pittura barocca napoletana di Salvator Rosa nella copertina, battiti digitali e pulsazioni ancestrali, nelle tracce di “Vanitas” ricorrono sentimenti di disillusione, rabbia e malinconia, tradotte con un linguaggio che ha l’ambizione di essere fresco e nuovo. La Niña sta portando avanti un percorso interessante, ma perché possa essere definito davvero “originale” deve essere più studiato, lavorato, messo a fuoco e musicalmente denso.