Ok, il mondo è fottuto. E a ricordarcelo, casomai ce ne fosse bisogno, ci pensa un tipo come Ron Gallo. Perché per guardare dentro alle troppe bruttezze da cui siamo circondati non occorre essere per forza troppo seriosi. Così, l’eclettico chitarrista e autore originario di Philadelphia - ma con più di un legame con il nostro Paese, non solo per un nome che non nasconde granché le proprie radici, ma anche per il suo sodalizio artistico e affettivo di lungo corso con l’italianissima Chiara D’Anzieri - si pone contro tutto ciò che non quadra, ostentando a suo modo un bel sorriso beffardo.
Un grido elettrico
Utilizzando un lettering tutto in maiuscolo - che nella comunicazione web equivarrebbe a un grido -, ecco quindi l'ultimo “FOREGROUND MUSIC”, nuovo capitolo di un percorso denso di riferimenti punk, garage, lo-fi, psichedelia, cantautorato, fuzz e weird pop che cerca di guardare dritto al futuro, scrollando tanto le spalle quanto gli strumenti da formule banalmente scontate. In questo deciso rifrullo di stili, testi e musiche prendono di mira quanto di più disparato: ansie generazionali, apatia, mascolinità tossica, individualismo sfrenato, e, ancora, xenofobia, gentrificazione, capitalismo, cambiamenti climatici ed esperienze personali alquanto drammatiche. Eppure, in mezzo a tanta energica invettiva, non c’è modo di abbandonarsi alla tristezza perché per affrontare ogni genere di situazione non bisogna mai farsi mancare una leggerezza di fondo a tratti pure sconsiderata.
È quella che Gallo trasmette con la sua personale formula di “elettricità letterata” attraverso le undici tracce di un disco fuori dagli schemi in cui manifestare emozioni, stupori e rabbia, ma anche l’euforia che gli permette di andare avanti ogni giorno nonostante tutto. Scivolano così una dietro l’altra le riflessioni e i suoni acidi di chi non sa darsi risposte di “ENTITLED MAN”, “AT LAST I’M DANCING”, “VANITY MARCH” o “ANYTHING BUT THIS” tra riff taglienti, ganci melodici e una buona dose di autoconsapevolezza. Il musicista statunitense canta di mele e t-shirt in “CAN MY FLOWERS EVEN GROW HERE?”, chiedendosi perché possedere più di cento magliette quando ne usa solamente tre mentre si registra sempre più una costante carenza di materie prime. Ancora, in “SAN BENEDETTO” presenta un nuovo tassello di crisi personale con un viaggio andata e ritorno dall’omonima cittadina italiana fino all’aeroporto JFK di New York e nelle ballate dal sapore vintage di “YUCCA VALLEY MARSHALLS” e della conclusiva “I LOVE SOMEONE BURIED DEEP INSIDE OF YOU” le tensioni si stemperano fino a farsi dolcemente rassicuranti.
Connessioni e speranze
Ron ricorre volentieri al sarcasmo e all’esagerazione per raccontare la propria visione delle cose, muovendosi tra Talking Heads, Television, Jack White e il Beck più schizoide, zigzagando tra l’individuale e l’universale. E non offre neppure alcun tipo di soluzione, ma, anzi, si concede di mostrarsi perfino solo e disarmato contro tanta rovina. Quello espresso in “FOREGROUND MUSIC” è un senso di isolamento che può apparire quasi paradossale nell’era dell’iperconnettività, ma che offre lo spazio necessario alla speranza, presente lungo tutti gli scossoni lanciati dalla pedaliera, perché, come Ron Gallo e la sua chitarra sembrano sapere davvero bene, per uscirne fuori la rabbia di certo non basta.