Fino al 29 dicembre, ripubblichiamo le recensioni dei dischi candidati ai Rockol Awards 2022 nella categoria "Miglior album italiano": è possibile votare qua.
Qua invece le candidature per i migliori live.
A 26 anni Mara Sattei ha già vissuto almeno tre vite. Nel 2013, quando si faceva chiamare ancora con il suo vero nome, Sara Mattei, la cantautrice romana si presentò ai provini di “Amici”: passò la fase iniziale, conquistò una maglia del serale, ma venne eliminata subito, nella seconda puntata. Poi un silenzio più o meno lungo, interrotto quando nel 2019 – dopo il rebranding del nome – ha cominciato a pubblicare sulle piattaforme di streaming le sue registrazioni “domestiche” prodotte dal fratello tha Supreme dopo il successo di “mi12ano”, seguite dai singoli incisi – più da vocalist che da artista protagonista – con Carl Brave (“Spigoli”, con lo zampino dello stesso tha Supreme), Gazzelle (“Tuttecose”) e Coez (“Altalene”, in “Bloody Vinyl”, il mixtape congiunto di tha Supreme, Slait, Young Miles e Low Kidd), facendo circolare non poco il suo nome tra i seguaci della nuova scena urban e pop italiana. Ora arriva l’album d’esordio sulla lunga distanza, “Universo”, con il quale la cantautrice ambisce a sbloccare un altro livello: prendersi la scena da protagonista.
Ci prova con una manciata di canzoni tutte prodotte dal fratello – più che i Finneas e Billie Eilish della musica italiana, sembrano i Gianni e Marcella Bella degli Anni Duemilaventi – del quale in un modo o nell’altro Mara Sattei sembra rappresentare la controparte femminile. Ne riprende lo stile, diventato a tutti gli effetti un marchio di successo che in molti hanno provato a replicare negli ultimi tempi (con risultati ovviamente non originalissimi), a partire dalle linee melodiche potentissime e da quel modo di cantare volutamente strano, balzando da un tono all’altro, cambiando continuamente velocità e dilatando le vocali che ai tempi di “23 6451” aveva reso l’ex enfant prodige del rap italiano una sorta di alieno della scena: un album di tha Supreme, ma cantato da una voce al femminile? Più o meno: basti ascoltare pezzi come "Ciò che non dici", "Shot", "Sabbie mobili", "Perle", su tutti.
C’è di più? Ad ascoltarlo bene, questo “Universo”, concedendogli almeno un paio di ascolti (di primo acchitto i pezzi, per sonorità, mood e fraseggio, possono risultare molto simili tra loro, poi le differenze emergono), si direbbe di sì, in fondo. I testi, da “Blu intenso” (in duetto con Tedua) a “Perle”, passando per “Cicatrici”, “Tamigi” e “Scusa” (tra i singoli che hanno anticipato l’album), sono più introspettivi rispetto a quelli, più irriverenti, del fratello (la sua voce qui compare in “0 rischi nel love”): “Metto rami, salgono sul cuore fermo / tra fiori celesti che nascono in fondo / dico poi la solitudine sia un alter ego / finge di restarmi accanto per far vuoto intorno”, canta Mara Sattei in “Universo”, il pezzo che apre il disco. E su tutti spiccano i pezzi dalle venature più soul (ha cantato per anni in un coro gospel e a Londra, dove ha vissuto e lavorato per un periodo, prima del riscatto, ha cantato pure nel Christmas Carol della Wembley Arena), in cui i suoni si fanno più caldi e le basi meno ingombranti. Come su “Parentesi”, il duetto con Giorgia pubblicato in concomitanza con l’uscita dell’album, in cui Mara Sattei si mette alla prova misurandosi con una voce pirotecnica come quella della collega.
Gioca sul sicuro, invece, negli altri duetti: in “Occhi stelle” ritrova Gazzelle dopo il tormentone di quest’estate “Tuttecose”, in “Tetris” Carl Brave dopo “Spigoli”. Tutto sommato colpacci di un certo livello, per essere un album d’esordio.