Un disco sincero, a tratti struggente e musicalmente meno complesso di altri lavori precedenti. Non aggiunge niente alla carriera della band fondata a Cincinnati, ma resta comunque un soffio di vita dopo anni difficili. Il nono album degli Afghan Whigs segue i precedenti “Do to the Beast” del 2014 e “In Spades” del 2017, e riprende tutto esattamente da dove la band si era fermata dopo la reunion avvenuta nel 2012. I componenti del gruppo hanno iniziato a lavorare sull’album nel settembre del 2020, dopo che il frontman e cantautore Greg Dulli, motore del gruppo, era stato costretto a rinunciare al tour per promuovere il suo ultimo disco solista “Random Desire” per colpa del Covid.
E proprio a causa della pandemia, la band si è ritrovata a registrare da remoto: Dulli, il suo co-produttore Christopher Thorn e il batterista Patrick Keeler si trovavano in California, il bassista John Curley, il chitarrista Jon Skibic e il polistrumentista Rick Nelson erano rispettivamente a Cincinnati, in New Jersey e a New Orleans. Il disco, anche per questo motivo, tenta di uscire da quei giorni asfissianti, e cerca una sorta di nuova luce, di sound potente e allo stesso tempo etereo. È un fuoco caldo, non una fiamma distruttiva. Dulli, per lavorare al progetto, ha chiamato una serie di collaboratori, tra cui l’amico fraterno e compianto Mark Lanegan, anche lui membro dei Twilight Singers, partner di Greg in The Gutter Twins, che oltre al titolo del disco ha lavorato anche su alcune voci. “Mark è sempre stato un esempio di come ‘differenziarsi’ dalla massa possa portare a una crescita umana e artistica”, ci ha raccontato Dulli.
C’è il rock sporco e veloce di “I'll Make You See God”, la profondità emotiva e soul di “Please, Baby, Please”, spunta la ballata torbida e dark “Concealer”, il blues-rock di “In Flames” e l’inafferrabile “Domino and Jimmy”, uno dei pezzi migliori del disco: questo per sottolineare come la voglia di sperimentare e di non ripetersi, che ha sempre caratterizzato l’arte di Dulli, sia ancora presente, ma con linee più morbide e meno frenetiche. “How Do You Burn?” arde di passione, è ricco di sentimenti e amore per la musica, non è un disco per piromani del rock, ma sa comunque toccare le corde giuste di chi ogni giorno fa i conti con le proprie ferite.