La Premiata Forneria Marconi aveva da poco dato alle stampe il suo secondo album in studio, “Per un amico”, quando nel dicembre del 1972, durante un concerto a Roma, venne notata da Greg Lake, basso chitarra e voce degli Emerson Lake & Palmer. Questo decise di invitare la band a Londra, dove la mise in contatto con Pete Sinfield, nome noto della scena progressive britannica per il suo lavoro con - tra gli altri - i King Crimson. Venne quindi registrata per l’etichetta Manticore nel gennaio del 1973 la versione in inglese di “Per un amico”, intitolata “Photos of ghosts” e con testi di Sinfield. Il gruppo si avvio così a scrivere una tra le più belle pagine della musica italiana all’estero e, per evitare storpiature del nome della band fuori dalla Penisola, su suggerimento di Pete Sinfield, la Premiata Forneria Marconi modificò la propria ragione sociale nella sigla PFM. Grazie anche al singolo tratto dalla sua prima pubblicazione in lingua inglese, “Celebration” (versione inglese del brano “È festa” dal primo disco “Storia di un minuto”), la formazione riscosse notevole successo fuori dai confini nazionali e il 26 agosto del 1973 si esibì addirittura al Reading Festival, tra le più importanti e storiche manifestazioni internazionali che quello stesso giorno vide salire sul palco persino i Genesis. La PFM arrivò allora a prendere posto nella classifica britannica e in quella statunitense con “Photos of ghosts”, prima di accogliere tra le proprie fila, a sostituzione di Giorgio Piazza, il bassista proveniente dagli Area Patrick Djivas, con cui nel novembre di quello stesso anno il gruppo diede il via alle registrazioni del suo terzo album in studio in italiano agli Advision Studios di Londra. Il disco, uscito poi nella primavera del 1974 con il titolo “L'isola di niente”, viene ora celebrato, insieme ad altre tra le maggiori opere del progressive rock italiano, dalla nuova iniziativa di Sony Music “Italian Prog Rewind”.
Solidità ritmica, virtuosismi, inventiva e sincerità poetica: “L'isola di niente”
La cultura musicale di Patrick Djivas convinse la PFM ad ampliare la propria capacità compositiva e volgere il suo sguardo stilistico verso nuovi spunti sonori, mentre la vena jazzistica del bassista contribuì a rafforzare i momenti di improvvisazione. Con “L'isola di niente” Mauro Pagani, il batterista Franz Di Cioccio, il chitarrista Franco Mussida e il tastierista Flavio Premoli insieme a Djivas raggiunsero una musicalità nuova per la band, mettendo così in atto una più corposa ed effettiva maturità artistica. Solidità ritmica, virtuosismi, inventiva e sincerità poetica sono gli elementi principali che permisero al gruppo di puntare a trovare una propria collocazione universale, un desiderio simboleggiato dall’isola sospesa tra mare e cielo nella copertina del disco realizzata da Terry Gough.
Il coro gelido e magniloquente dell'Accademia Paolina di Milano apre la prima lunga traccia dell’album, da cui questo prende il nome, e dà così il via all’intenso dialogo che si viene a creare tra la chitarra di Mussida, il basso di Djivas e la batteria di Di Cioccio. Giocando tra l’alternanza di vigorosi riff, aperture armoniche seducenti e sbalzi di progressive, il brano rivela nel testo scritto da Mauro Pagani (firma anche di “La Luna nuova” e “Dolcissima Maria”): “Siede chi ha perduto accarezzando / Quella pace che non ha / E pace di un momento è riposare / Su quest'isola di niente…”. In questo contesto, arriva poi con pomposità all’attenzione dell’ascoltatore l’ambizione esterofila della PFM, realizzata nel brano in lingua inglese con il testo di Peter Sinfield, “Is my face on straight”.
Verso il "sogno americano"
Sfumata quella confessione interrogativa, “I mustn't be late / Is my face on straight?”, che segue i virtuosismi fantasiosi di Mussida, la magia del flauto di Pagani e l’assolo alla fisarmonica di Premoli, le cui tastiere mantengono comunque un ruolo determinante nell’album, arriva il momento di alzare il braccio del giradischi per girare il vinile e posizionare la puntina sul primo solco della seconda facciata di “L'isola di niente”. Le atmosfere rinascimentali create dall’incrocio di moog, violino, basso, chitarra, fiati e percussioni de “La luna nuova”, tra i pezzi del gruppo molto amati ancora oggi dal pubblico, riportano dentro i confini italiani, pur manifestando l’evoluzione artistica e l’elevata qualità della PFM, mentre la ballata "Dolcissima Maria”, ridà luce alle radici mediterranee della band.
Il finale porta però con sé la sorpresa del brano strumentale “Via Lumière” che, tra tempi dispari, contrattempi, assolo di flauto, gusto per l'improvvisazione jazz e consapevolezza, chiude questo album, uscito anche per il mercato anglosassone con il titolo “The world became the world”. Grazie ai risultati raggiunti oltremanica e oltreoceano con “Photos of ghosts”, oltre che ai referendum di alcune delle più importanti testate musicali britanniche, come Melody Maker e NME, che indicarono la PFM come uno dei gruppi rivelazione del periodo, l’etichetta Manticore si convinse a organizzare un tour promozionale negli Stati Uniti. La tournée, nonostante le difficoltà che comportava, lanciò la formazione verso la conquista del pubblico d’oltreoceano e, a testimonianza di una delle più incredibili migrazioni del nostro rock di quegli anni, uscì il primo album dal vivo della band, “Cook”, pubblicato in Italia con il titolo “Live in USA”.