E' in giro da una ventina di anni Patrick Watson, cantautore 42enne nato in California da genitori canadesi, ma poi cresciuto in Canada. Patrick è in giro con un gruppo che si chiama come lui, oppure da solo. Il suo nuovo lavoro, "Better in the shade", si compone di sole sette canzoni ed è di brevissima durata, poco più di una ventina di minuti. Canzoni come fossero degli spunti per riflessioni e pensieri da sviluppare dentro di noi durante e dopo l'ascolto. Canzoni rivestite di elettronica, come dice lui: "Con l'aggiunta di sintetizzatori modulari, siamo stati in grado di trovare un approccio più caldo e toccante all'elettronica, che si sente acustica come il resto degli strumenti e si muove come un liquido." Watson ha inoltre dichiarato che il tema centrale della sua nuova fatica verte "sul negoziare di un mondo in cui non si sa più cosa sia reale". Affermazione che difficilmente si può non condividere.
Elettronica liquida
A condurci nella follia di un mondo dai contorni sempre più sfumati in cui è complesso gestire i propri sentimenti e le proprie azioni è il delicato falsetto di Watson nel brano che regala il titolo all'album e anticipa l'ascolto di "Height of the feeling", una canzone d'amore che travalica il tempo, in questa duetta con Ariel Engle, aka La Force, musicista che gravita nel collettivo indie pop canadese denominato Broken Social Scene. Il minuto e mezzo della strumentale "Ode to Vivian", permette di godere della pace regalata da un piano che pare proprio preso di peso da una colonna sonora cinematografica. Ed è cinematografica anche la trama di "Little moments", per testo (Watson ha rivelato di avere curato molto le parole dei vari brani) e musica. Un 'corto', una commedia che non raggiunge i tre minuti e racchiude la semplicità, l'ostinazione e le difficoltà di una umanità che è piccola e speciale (parole sue). "Blue" ha un sentore di musical e, come la totalità delle tracce di "Better in the shade", è spoglia e parla di vite vissute, come suggerisce il titolo, nell'ombra. In "La la la la la" una voce maschile ed una femminile tubano felici e si inseguono nell'azzurro di una tersa giornata primaverile. Nella sognante ed eterea "Stay" il musicista canadese si avvale della voce della connazionale Sea Oleena ed è un buon modo di chiudere.
Tutto e il suo contrario
"Better in the shade" è un disco spiazzante: allo stesso tempo molto piacevole, ma ugualmente sinistro; in buona parte rassicurante, ma un poco inquietante; al fondo semplice, ma per questo motivo complesso; lieve e leggero, ma anche faticoso. In ultima analisi è un album sfuggente, che quando si pensa di averlo compreso al suo fondo, scivola via e non si lascia ingabbiare. Le parole di Patrick Watson non sempre sono perfettamente comprensibili, spesso si fondono con l'elettronica che ammanta ogni canzone a formare un unico. "Better in the shade" dimostra, una volta di più, che sovente lavorare di sottrazione porta ad amplificare e moltiplicare il risultato finale.