Diciotto anni sono passati dalla precedente incarnazione discografica dei Jethro Tull e dall’inizio del millennio ad oggi molte cose sono cambiate.
Ma non Ian Anderson che continua a muoversi a suo agio nelle atmosfere che hanno reso famosi i Jethro e donato longevità alla sua carriera. “The Zealot Gene” è un ottimo modo, dunque, per riprendere in forma vinilica la storia di una band che ha contribuito in maniera fondamentale a trasformare i dischi a 33 giri in vere opere d’arte (soprattutto con il leggendario “Thick as a Brick”, copertina compresa).
Novità? Nessuna. Certezze? Tante. Quelle del flauto di Anderson, che continua ad essere il ‘Trademark’ del suono dei Tull e in generale della musica di Anderson; quelle dell’equilibrio costante tra l’anima folk, acustica di Anderson e il suo cuore rock, tra le tendenze nostalgicamente e piacevolmente progressive del suo modo di scrivere e la voglia di raccontare storie (in questo caso quelle prese dalla Bibbia).
Anderson, settantacinque anni il prossimo agosto, è ancora un ottimo cantante, il suo stile da ‘cantastorie’ è ancora ben saldo, le sue doti di interprete, di ‘attore’, sono ancora eccellenti e la band che lo accompagna lo sostiene ottimamente, e il risultato in generale è più che buono, le composizioni sono ancora accattivanti e complesse, la ricchezza delle soluzioni ritmiche e armoniche impedisce la noia.
Sempre, però, che vi piaccia viaggiare indietro nel tempo e calarvi nell’universo dei Jethro Tull, che non si è aggiornato in nessun modo e ripercorre le strade già tracciate e ben note, con sapienza e mestiere.