Dio, i Led Zeppelin e Piero Manzoni: tornano gli Skiantos

Chi non dovesse ritrovarsi in questi Skiantos para-buddhisti che predicano “l’ora e adesso” non si spaventi: in “Dio ci deve delle spiegazioni” troverà molto pane per i suoi denti: a partire da “Merda d’artista”, il pezzo più cattivo e urticante del disco che prende spunto dalle celebri provocazioni di Piero Manzoni. “Never mind the bollocks”, e “Mono tono”, non erano anche loro, ai loro tempi, merda d’artista? “Certamente”, risponde “Freak”. “ E’ la solita vecchia contraddizione che Manzoni fece presente già nel ’61, anticipando di molti anni Warhol e la pop art. Tutta l’arte, anche quella ‘contro’, alla fine diventa merce, basta ci sia un bravo manager alle spalle. A quel punto si può vendere di tutto, compresi i propri escrementi”. Vale anche nel pop contemporaneo, no? “Eccome. Basta che siano escrementi orecchiabili, riffettini che durano il tempo di un’estate. Mica sono tutti i Rolling Stones”. Di riff e sfavillanti chitarre rock è pieno zeppo l’intero album, tra un plagio dichiarato di Brian May e un hard blues come “Senza libretto di istruzioni” che sembra uscire dalle session del primo disco dei Led Zeppelin. “In fondo”, annuisce Dandy Bestia, “siamo stati il primo gruppo di rock duro in Italia. E ci siamo divertiti sul serio, stavolta, io e Luca (“Tornado” Testoni, l’altro chitarrista). Il richiamo agli Zeppelin è assolutamente volontario”. “Però ci sono anche pezzi intimisti”, spiega Roberto. “Io amo molto ‘Testa di pazzo’ che considero un autoritratto piuttosto fedele del modo di essere degli Skiantos: compresi solo ‘da soggetti inverosimili e del tutto inattendibili’. E ‘Sensazione magica’, che è un brano molto rilassato”. Non mancano un paio di vecchie canzoni reiette, come il “liscio metal” “Senza vergogna” e “Sono un perdente”, che vecchi produttori e discografici gli avevano consigliato di lasciare per sempre nel cassetto. “E invece le abbiamo tirate fuori, per un senso di sfida”, spiega Fabio. “ ‘Sono un perdente’ è più d’attualità adesso che alla fine degli anni Ottanta, quando andava di moda essere yuppie e vincente. ‘Senza vergogna’, che è un valzer, ci sembrava perfetto per Raul Casadei. Lui, gentilmente, ha declinato l’offerta: in effetti il testo è un po’ duretto. In Italia puoi scherzare su tutto ma non sulla droga”. Loro lo fanno, e scherzano pure (ma fino a un certo punto) sul razzismo che alberga in ognuno di noi (“Il razzista che c’è in me”) e su “Una vita spesa a skivar la fresa”, esilarante inno virtuale di tutti i fankazzisti d’Italia in tempo di disoccupazione e recessione. “Se il lavoro è travaglio, se diventa una galera, meglio schivarlo. La fresa è il simbolo del lavoro forzato, imposto. Quello che non ti realizza ma che, con i tempi che corrono, in tanti sono costretti ad accettare”. Ridendo e scherzando, anche gli Skiantos sono degli indefessi lavoratori. “Di canzoni nuove ne avevamo venti, cinque o sei le metteremo forse in un EP che potremmo pubblicare tra settembre e ottobre”, spiega Dandy Bestia. E c’è un nuovo tour che li attende, nove date nei club tra il 13 febbraio e il 18 aprile passando per Pordenone, Bologna, Foligno, Roma, Trezzo d’Adda, Roncade, Cesena, Catania e Palermo. E pazienza se sul mercato tira aria mefitica di crisi: “I discografici stanno per morire. Ben gli sta, si sono ammazzati da soli. E se nessuno vende più per gli Skiantos, in fondo, resta tutto come prima. Magari va a finire che un disco disco d’oro lo consegnano pure a noi”.