
La musica gratuita e legale, pagata dagli inserzionisti pubblicitari invece che dai consumatori, sembra essere diventata la nuova frontiera del Web e della discografia (vedi News). Giocoforza, si direbbe, dal momento che i segnali che arrivano dal mercato sono chiari: già oggi la maggior parte della musica consumata dagli appassionati non viene pagata, e per di più non porta nulla in tasca ai legittimi proprietari.
Gli ultimi dati in merito arrivano da una recente indagine del gruppo NPD sui comportamenti di consumo degli utenti americani di Internet di età superiore ai 13 anni (circa l’80 % della popolazione): dal sondaggio risulta appunto che nel 2007 solo il 42 % della musica ascoltata dal pubblico è stata pagata , percentuale oltretutto sensibilmente in calo rispetto a quella registrata l’anno precedente (48 %). Per la precisione, il 32 % del consumo sarebbe avvenuto attraverso cd regolarmente acquistati nei negozi (a fronte del 41 % nel 2007) e il 10 % attraverso i download a pagamento da Internet (cresciuti dal 7 % dell’anno precedente). Il resto appartiene tutto al mercato “nero” e illegale: alla faccia dei raid antipirateria e delle denunce in tribunale risulta ancora in crescita, dal 14 al 19 %, il ricorso alle reti di file sharing (“il numero di persone che utilizzano il peer-to-peer è rimasto stabile tra il 2006 e il 2007”, dice Russ Crupnick di NPD, “ma il numero di file prelevati per utente è cresciuto in maniera significativa”: grazie, suggerisce il New York Times in un articolo di commento, anche al passaggio di molti internauti da LimeWire a BitTorrent, programma che rende più facile il download di interi album). La stessa identica fetta di musica (19 %) i fan se la procurerebbero a sbafo dagli amici, masterizzando i loro cd (“burning”) o convertendone il contenuto in file mp3 da ascoltare sul pc o sull’iPod (“ripping”). “Osservando questi dati”, è la conclusione di Crupnick, “le case discografiche si renderanno conto che restando aggrappate al cd e al modello Apple in futuro avranno sempre più problemi”.
Gli ultimi dati in merito arrivano da una recente indagine del gruppo NPD sui comportamenti di consumo degli utenti americani di Internet di età superiore ai 13 anni (circa l’80 % della popolazione): dal sondaggio risulta appunto che nel 2007 solo il 42 % della musica ascoltata dal pubblico è stata pagata , percentuale oltretutto sensibilmente in calo rispetto a quella registrata l’anno precedente (48 %). Per la precisione, il 32 % del consumo sarebbe avvenuto attraverso cd regolarmente acquistati nei negozi (a fronte del 41 % nel 2007) e il 10 % attraverso i download a pagamento da Internet (cresciuti dal 7 % dell’anno precedente). Il resto appartiene tutto al mercato “nero” e illegale: alla faccia dei raid antipirateria e delle denunce in tribunale risulta ancora in crescita, dal 14 al 19 %, il ricorso alle reti di file sharing (“il numero di persone che utilizzano il peer-to-peer è rimasto stabile tra il 2006 e il 2007”, dice Russ Crupnick di NPD, “ma il numero di file prelevati per utente è cresciuto in maniera significativa”: grazie, suggerisce il New York Times in un articolo di commento, anche al passaggio di molti internauti da LimeWire a BitTorrent, programma che rende più facile il download di interi album). La stessa identica fetta di musica (19 %) i fan se la procurerebbero a sbafo dagli amici, masterizzando i loro cd (“burning”) o convertendone il contenuto in file mp3 da ascoltare sul pc o sull’iPod (“ripping”). “Osservando questi dati”, è la conclusione di Crupnick, “le case discografiche si renderanno conto che restando aggrappate al cd e al modello Apple in futuro avranno sempre più problemi”.
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