Il suo fu un debutto da bambino prodigio?
“Un talento precoce, perché vivevo in una famiglia di musicisti: come unico giocattolo in casa avevo un pianoforte. Poi continuai a studiare musica classica con una insegnante tedesca. Era talmente severa che, quando seppe che suonavo nei locali notturni, mi ripudiò”.
La sua carriera è iniziata a Ischia, al “Rangio Fellone” quando ancora si chiamava Peppino Fajella. Da chi fu scoperto?
“Dai milanesi. Erano di Milano i discografici che mi chiamarono per fare dei provini. Cantai "Malatia" e "Nun è peccato" e i provini divennero dischi”.
Quando aveva vent'anni come giudicava i cantanti sessantenni, e oggi come vede i suoi colleghi ventenni?
“Li giudicavo con molto rispetto. Certo, musicalmente non mi interessavano. I miei idoli erano Elvis Presley e Frank Sinatra, anche se io sono venuto fuori come un incrocio italiano tra Don Marino Barreto e Paul Anka. Oggi, mi adatto a sentire in casa i Metallica, i Pantera, i Labyrinth, gli idoli dei miei figli: musica assordante, martellante, con cui i ragazzi "sballano" nelle discoteche a colpi di ecstasy. La nostra musica non aveva questi effetti devastanti”».