“Io e Pasquale”, interviene Giorgio Prette, “ci conosciamo da quindici anni, ma non abbiamo mai fatto nulla insieme. I Volwo avevano una loro identità ben precisa, perciò non aveva senso collaborare ai tempi. Quando lui ha cominciato a farmi ascoltare dei nuovi provini mi ha detto che voleva che partecipassi al progetto degli Atletico, ma dopo aver sentito i brani, mi sono piaciuti talmente tanto che ho rifiutato la partecipazione e gli ho proposto di entrare a fare parte definitivamente del progetto. Gli Afterhours sono molto impegnativi”, aggiunge il batterista, “e non è facile gestirsi anche perché tutti noi abbiamo dei progetti paralleli. Cerchiamo di dedicarci in maniera continuativa ai live e alla promozione ma è molto difficile”.
“Anche con Saturnino ci conosciamo da una decina di anni”, prosegue De Fina, “Ci forniamo, io per le chitarre e lui per i bassi, dallo stesso costruttore, e così ci siamo conosciuti. Gli ho fatto sentire alcuni pezzi e, come Giorgio, ha voluto entrare a far parte degli Atletico a 360 gradi”. Alla realizzazione del disco hanno partecipato anche altri artisti tra cui Syria, che canta con Pasquale nel brano “Sono io”, Pepe Ragonese alla tromba, Pancho Ragonese al pianoforte, Roberto Romano (già al fianco di De Fina nei Volwo) al sax tenore e al clarino, Valentino Finoli al sax alto, Marco Ferrara al contrabbasso, Giulio Dottori alle chitarre, Gianluca Mancini al fender rhodes, Cesare Basile al dobro, e Massimo Martellotta alla steel guitar: “È una situazione di scambi e partecipazioni”, spiega De Fina, “Ciò che mi interessava fin dall’inizio era creare una band che avesse queste caratteristiche che paradossalmente sembrano lontanissime: pensare Giorgio che suona mentre Syria canta è Saturnino sta al basso, può sembrare strano da fuori, in realtà è proprio il bello di questo progetto”. “Quando le collaborazioni nascono dai musicisti”, aggiunge Prette, “e non da una manovra di promozione dell’etichetta, vuol dire che la cosa funziona di sicuro e puoi permetterti di fare quello che vuoi, soprattutto quando un progetto nasce prima da un rapporto umano che artistico”.
“Si sente nel sound questa caratteristica”, precisa De Fina, “Il jazz di Ragonese, il funky di Saturno, e il rock di Giorgio sono in totale libertà. Non sarebbero mai venuti fuori questi brani se ci fossimo imposti delle regole o dei metodi di composizione. Io portavo dei provini e in fase di registrazione ognuno suonava e ci metteva del suo: certe cose sono venute fuori solo suonandole, senza pensarci”. “Quando lui portava il materiale su cui lavorare”, prosegue Giorgio, “si capiva da subito che erano brani spontanei, che erano nati da una sincerità notevole e che lasciavano a noi musicisti la libertà di improvvisare. Nessuno di noi porta in questo progetto le influenze da cui proviene, abbiamo cercato di trovare una mediazione tra quello che è il nostro stile e le cose che non siamo abituati a fare. E’ questo uno degli aspetti più stimolanti: il divertimento di metterti alla prova facendo cose nuove con persone con cui non hai mai lavorato”.