La morte di Jimmy Cliff non è soltanto la fine di una delle carriere più influenti della musica giamaicana: è il momento in cui un intero genere è chiamato a guardarsi allo specchio. Perché se il reggae oggi continua a vivere - tra evoluzioni e nuove traiettorie - è anche grazie alla visione di un artista che ha saputo traghettarlo fuori dalle barriere culturali isolane per trasformarlo in un linguaggio universale. Come del resto fece il collega più noto, Bob Marley.
Cliff è stato molte cose: cantante, autore, attore, ambasciatore culturale. Ma è stato soprattutto un interprete del sentimento collettivo. Nel suo canto c’era l’eco della sofferenza e della dignità della Giamaica post-coloniale, ma anche un’energia moderna, capace di rivaleggiare con le produzioni pop internazionali degli anni ’70 e ’80. Riuscire a rendere il reggae accessibile senza snaturarlo è stata forse la sua più grande intuizione.
Oggi, nel reggae contemporaneo, quell’intuizione si vede chiaramente: artisti come Chronixx, Protoje o Koffee hanno ereditato da Cliff l’idea che il reggae potesse essere un ponte, più che un genere a cui porre dei confini. Non a caso, molti dei nomi più interessanti della nuova scena non temono di contaminare le radici con soul, hip-hop, afrobeat, elettronica. Jimmy Cliff ha fatto esattamente questo, ben prima che il termine "fusion" andasse di moda.
Ma Cliff non ha influenzato soltanto lo stile: ha influenzato anche la narrazione del reggae. Per lui la musica non era soltanto suono: era racconto. “Many Rivers to Cross” non è un semplice classico, ma un manifesto esistenziale che travalica generi e provenienze. In un’epoca in cui molti giovani artisti giamaicani guardano al dancehall come a un territorio di sperimentazione pop, Cliff ricordava che la forza del reggae sta nel coniugare la melodia alla coscienza, il ritmo al significato.
Oggi il reggae sembra avere due anime: da una parte quella sociale e poetica, che trova nuova linfa nel movimento “roots revival”; dall’altra quella più globalizzata e pop-oriented, figlia dell’era streaming. La sintesi tra queste due correnti — se arriverà — sarà possibile solo riconoscendo l’eredità di figure come Jimmy Cliff, ovvero di artisti che non hanno mai avuto paura di andare incontro al mondo, senza mai rinunciare all’identità giamaicana.
Adesso che Cliff non c’è più, resta una domanda: il reggae saprà conservare la sua eredità senza trasformarla in nostalgia? La risposta dipende tanto dalle nuove generazioni, quanto dall’industria musicale. Cliff è stato grande perché ha saputo parlare al mondo mantenendo una voce inconfondibilmente sua, unendo tradizione e novità. In tempi di algoritmi e di tendenze uniformanti, questa lezione è più preziosa che mai.