“The Lamb” è il disco più importante dei Genesis?

Sperimentale, teatrale e ferocemente umano: il canto del cigno di Peter Gabriel, 51 anni dopo

È il 22 novembre 1974 quando esce “The Lamb Lies Down on Broadway”, il doppio album che più di ogni altro ha stabilito i confini – mettendoli in discussione – dell’identità dei Genesis, i quali ai tempi non sapevano di aver appena pubblicato un punto di riferimento imprescindibile per il rock progressivo e non solo. A 51 anni di distanza, l’opera-mondo concepita da Peter Gabriel e scolpita dal lavoro collettivo della band suona ancora come un viaggio narrativo e sonoro, ed esercita ancora quella forza misteriosa che colpì tutti dal primissimo giorno. A partire da una copertina essenziale ma enigmatica, in bianco e nero, lontana dalle immagini fiabesche che avevano caratterizzato le uscite fino a quel momento.

Con “The Lamb”, i Genesis raggiungono il culmine della loro fase “teatrale”. Peter Gabriel, in pieno fermento creativo e già proiettato verso un’idea di performance totale, immagina la storia di Rael, un giovane portoricano di New York trascinato in un labirinto di visioni, incubi e metamorfosi. Una sorta di odissea urbana e psichedelica, che mette in dialogo surrealismo, cronaca metropolitana e introspezione identitaria. La band, dal canto suo, traduce la narrazione in una musica più dura e nervosa rispetto ai lavori precedenti: un calderone di rock, elettronica, soul, sperimentazione e suoni ambientali.

I Genesis sono in stato di grazia. Lo dimostrano brani come “In the Cage”, “Fly on a Windshield”, “Back in N.Y.C.” e “The Carpet Crawlers”. I canoni del prog non bastano più e, pur senza rinnegarne la complessità strutturale, i cinque vanno oltre. Tony Banks tesse trame tastieristiche monumentali e inquietanti, Steve Hackett introduce soluzioni chitarristiche visionarie, Mike Rutherford e Phil Collins costruiscono una sezione ritmica solida e inventiva, mentre Gabriel guida il racconto con una delle sue interpretazioni più riuscite.

La tournée che segue la pubblicazione del disco è un evento nell’evento: scenografie elaborate, costumi iconici, diapositive proiettate per raccontare la storia, e un Gabriel sempre più immerso nel ruolo di narratore-performer. Ma proprio quella dimensione totalizzante contribuì a un progressivo distacco tra il frontman e il resto del gruppo. “The Lamb” è infatti l’ultimo lavoro dei Genesis con “The man”: un canto del cigno tanto fragile quanto titanico.

Comunque, al di là delle tensioni interne e della leggenda che ne è scaturita, il sesto album in studio del gruppo continua a parlarci ancora oggi con una strana immediatezza emotiva; strana, perché il concept sarebbe tutto meno che immediato: è complesso (sia a livello narrativo, sia musicale), è caotico, intimo, epico e ferocemente umano.

Non è detto che “The Lamb” sia l’album più bello dei Genesis, anzi; ma che sia l’opera in cui Gabriel e i suoi hanno osato maggiormente, spingendosi oltre la comfort zone e i confini della propria musica, questo sì. Vette di bellezza irripetibili e spunti sonori pionieristici, capaci di anticipare tendenze e di lasciare un segno nella storia.

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