Un concerto da non farsi scappare, soprattutto se si ama il rap, è il grande ritorno del Wu-Tang Clan in Italia, a più di dieci anni di distanza dall’ultima volta. Il tour “Wu-Tang Forever: The Final Chamber” celebra il repertorio del collettivo nella sua interezza, a partire, ovviamente, dallo storico album di debutto “Enter the Wu-Tang (36 Chambers)”, che usciva esattamente 32 anni fa e che ancora oggi suona come il pilastro dell’hip hop quale è.
Nel 1993, la scena dell’East Coast si trovava in una fase di transizione. Mentre sulla costa occidentale dominava il funk-sintetico del G-funk, a New York si respirava un’aria più dura, underground. RZA, fondatore e guida del Wu-Tang, raccolse nove MC (“Master of Ceremonies”, i rapper, coloro che intrattengono un pubblico rappando su un beat) – tra cui GZA, Ol’ Dirty Bastard, Ghostface Killah, Raekwon, Method Man, U‑God, Inspectah Deck e altri – e produsse interamente l’album in un piccolo studio a Brooklyn, il Firehouse Studio, con budget limitato e mezzi artigianali.
La sua uscita segnò non solo l’esordio ufficiale del collettivo, ma anche un cambio di paradigma: un suono grezzo, sperimentale, radicato nella cultura di strada newyorkese e nel campionamento di vecchi dischi e film di kung-fu. Il titolo dell’album infatti richiama la tradizione delle arti marziali (in particolare il film “The 36th Chamber of Shaolin”) e la mitologia che il gruppo vi costruiva attorno: nove membri, quattro “camere” ciascuno.
L’elemento più distintivo è la produzione di RZA: sample soul, jazz, ritmo minimale, atmosfere oscure, rimbombi, rumori urbani, dialoghi estratti da film di arti marziali. Un’atmosfera che innumerevoli rapper (Nas e The Notorious B.I.G. su tutti) avrebbero poi cercato di replicare negli anni seguenti. Ogni membro del gruppo trova spazio per mostrare la propria personalità, all’interno di un repertorio che parla di vita di strada, di competizione, di orgoglio, delle dinamiche di quartiere. C.R.E.A.M. (“Cash Rules Everything Around Me”) è forse il miglior esempio in tal senso: “L'unico modo per fare soldi era spacciare droga, e iniziamo così, figliolo, andando in giro con questo e con quello, tirando fuori pistole per divertimento”.
Sono tanti i motivi per cui “36 Chambers” ha cambiato le regole del gioco. Ha contribuito a riportare in primo piano l’hip-hop dell’East Coast, in un momento in cui il mainstream era dominato dalla West Coast; il sound grezzo, ma potentissimo, ha creato un modello per il rap hardcore degli anni a venire; difficile immaginare un debutto migliore di questo per un collettivo composto da nove voci, che riescono a coesistere senza perdere unicità; è un viaggio negli archetipi della cultura hip hop che, non a caso, è stato inserito nel National Recording Registry per la sua rilevanza culturale.