Lo show gothic horror dei Lacuna Coil, all’Alcatraz di Milano

La band apre nella sua città la nuova tournée: il racconto

“L’esibizione dei Lacuna Coil al Bloodstock dimostra che la band sta operando all’apice delle proprie capacità. A trent’anni dall’inizio della loro carriera, i Lacuna Coil stanno scrivendo alcuni dei migliori brani di sempre – e offrendo alcuni dei loro live più straordinari”, cosí “Loudersound” apriva la recensione sul passaggio della band al Bloodstock Festival in Inghilterra lo scorso agosto. Lo stesso vale nella serata del 10 ottobre, a Milano, dove la formazione metal italiana più amata all’estero inaugura la lunga tournée europea che durerà fino a dicembre. All’Alcatraz, gremito di fan che dall’età dimostrano di seguire il gruppo dagli inizi, i Lacuna Coil tornano per la prima volta dopo la pandemia e lo fanno con l’autorità di chi ha costruito un linguaggio riconoscibile, capace di parlare una lingua internazionale senza mai recidere le proprie radici. Puntuali alle 21, accendono un concerto di ventuno brani per oltre un’ora e mezza di musica, tra nuova linfa e memoria condivisa, dentro un suono che avvolge e trascina.

Sul palco, l’estetica del piú recente album “Sleepless empire” (leggi qui la nostra intervista e qui la nostra recensione) diventa scenografia, con la sagoma della copertina del disco che si staglia al centro del palco, tra fumi bianchi e luci taglienti scolpendo una dimensione da gothic horror. Trucchi, costumi e movimenti di scena costruiscono una ritualità teatrale in cui si intrecciano i registri del sacro e del profano, l’umano e il mostruoso. Cristina Scabbia e Andrea Ferro si muovono come due poli di una stessa energia, divisi e complementari, mentre il basso di Marco “Maki” Coti Zelati e la batteria serrata di Richard Meiz disegnano un labirinto sonoro di ritmo e tensione.

A “Layers of time” e “Reckless”, dal nono album in studio “Black Anima” del 2019, è affidato il compito di aprire lo show tra applausi e cori. Nel cuore della scaletta c’è poi “Sleepless empire”, che domina la serata con le sue visioni distorte e la sua architettura di suono. “Hosting the shadow”, “Gravity”, “Oxygen”, “The siege” e “I wish you were dead”, intervallate da “Kill the light” del 2012 e altri brani meno recenti come “Spellbound”, diventano capitoli di un racconto che alterna fragilità e impatto, introspezione e rabbia. La prima esecuzione live di “In nomine patris” è un momento simbolico, quasi liturgico, introdotto dal silenzio del pubblico, mentre “Downfall” si carica di una commozione improvvisa nella dedica di Cristina alla madre. E poi c’è il ritorno alle origini, con “Swamped XX”, che riapre il tempo di “Comalies” e ne celebra l’eredità con la versione realizzata per il la riedizione del 2022.

L’Alcatraz risponde come un unico corpo, attraversato dal suono e dal gesto, mentre la band non perde occasione per lasciarsi andare a interazioni con i presenti o racconti. Le mani alzate seguono ogni colpo, in un coinvolgimento che supera l’abitudine e diventa partecipazione fisica. Dopo il bis finale con “Never dawn”, la band si congeda tra applausi che non si spengono. Il pubblico resta qualche istante immobile, come sospeso tra il sonno e la veglia. È l’effetto di un concerto che non cerca l’estetica del metal, ma la sua verità: quella che nasce dal contatto tra potenza e fragilità, tra oscurità e lucidità, dentro un impero che non dorme mai.

Ecco la scaletta:

  • Layers of Time
  • Reckless
  • Hosting the Shadow
  • Kill the Light
  • Die & Rise
  • Spellbound
  • Delirium
  • In the Mean Time
  • Intoxicated
  • Downfall
  • Heaven's a Lie XX
  • In Nomine Patris
  • The House of Shame
  • Blood, Tears, Dust
  • Gravity
  • Oxygen
  • Nothing Stands in Our Way
  • Bis
  • The Siege
  • I Wish You Were Dead
  • Swamped XX
  • Never Dawn
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