Uno dei momenti più emblematici dello show arriva verso la fine, nel quarto atto, che ha per titolo “Every chessboard has two Queens”, “Ogni scacchiera ha due regine”. Le due regine, per chi se lo stesse chiedendo, sono le due Lady Gaga che per tutto il tempo del concerto si contendono la scena e gli applausi: da un lato quella più ingenua e pura degli esordi con “Poker face”, “Bad romance” e “Alejandro”, dall’altro quella più matura, consapevole e navigata del post “Artpop”. È intorno a questa dicotomia, a questa lotta interiore, che Stefani Germanotta, questo il vero nome della 39enne star newyorkese, ha costruito lo spettacolo del “Mayhem Ball”, il suo nuovo tour, che è approdato in Europa dopo aver incassato 102,6 milioni di dollari negli Usa e il 19 e 20 ottobre farà tappa al Forum di Milano. Una (la Lady Gaga del presente) si presenta davanti agli spettatori, l’altra (la Lady Gaga del passato) prova a rubarle la scena: ad un certo punto arrivano anche a sfidarsi in una sanguinosa partita a scacchi, sulle note di “Poker face”. Sembra vincere la prima, ma l’altra è solo momentaneamente fuori gioco. Finché non arriva il momento al quale accennavamo.
Il nuovo significato di "Million reasons"
Sulle note di “Million reasons” la Lady Gaga di oggi si rivolge a quella di ieri, impersonata da una performer vestita di rosso, mascherata. «I’ve got a hundred million reasons to walk away / but baby, I just need one good one to stay», «Ho cento milioni di motivi per andarmene / ma amore, me ne serve solo uno buono per rimanere», cantava nel singolo del 2016. Ora Gaga quelle stesse parole le dedica alla vecchia versione di sé, fragile, ferita, debole. È il passaggio che nella struttura dialettica dello show segna il momento di riconciliazione: Gaga abbraccia il suo passato e “Million reasons” diventa così la meta finale del viaggio, che è anzitutto interiore, raccontato nel corso dello show. E del resto parlando di “Mayhem”, il disco che a marzo ha segnato il suo grande ritorno sulle scene, Lady Gaga ha detto esattamente questo: lavorare al disco è stato come «riassemblare uno specchio in frantumi». “Million reasons” non segna la conclusione dello show, che prosegue con “Shallow”, “Die with a smile”, “Vanish into you”, “Bad romance” e “How bad do u want me”, ma è il passaggio che rende chiaro il senso dello spettacolo. Che non è solo un concerto. È molto di più. È un’opera, tra le migliori esperienze “live” mai viste negli ultimi anni nel pop (si gioca il primato in un combattutissimo testa a testa con il “Celebration tour” di Madonna, magnifico documentario dal vivo della Regina del Pop), pensata, scritta e, naturalmente, interpretata da Gaga stessa e che porta in scena l’ascesa, la caduta e la rinascita di una popstar come lei. Lo fa mischiando musica, teatro, cinema, danza, arte performativa. E anche il mondo dell’opera.
Uno show concettuale ma allo stesso tempo pop
Non è un caso che la scenografia si ispiri proprio a quella di un teatro dell’opera dallo stile barocco, con tanto di balconate, e che prima dell’inizio dello show Gaga intrattenga gli spettatori che man mano riempiono le arene con una playlist che riproduce brani di Hector Berlioz, Georges Bizet e Gioacchino Rossini: trovatela un’altra popstar che fa omaggi del genere, nei suoi spettacoli. Tutto ha un senso, nella complicata costruzione del “Mayhem Ball”, che è senza dubbio uno degli show più concettuali e maturi della carriera di Lady Germanotta. Anche la struttura stessa del concerto guarda alla musica cosiddetta “colta”, con diversi atti che ripercorrono la parabola artistica della popstar attraverso una lente che non si esagera a definire filosofica. La tesi coincide con gli esordi. Altre popstar rinnegano i loro inizi, depennando le hit che hanno segnato la loro ascesa dalle scalette dei loro concerti: non c’è nulla di male a non riconoscersi più in brani considerati, se non proprio acerbi, sicuramente rappresentativi di una fase meno matura della propria carriera. Gaga invece l’epoca di “The fame” e “The fame Monster”, e dunque della stessa “Poker face”, di “Alejandro”, di “Bad romance” e di “Paparazzi” (che in sequenza con il j’accuse all’industria discografica che tratta gli artisti come fossero bambole di “Perfect celebrity” diventa una sorta di inno di resistenza, il manifesto di una sopravvissuta), la recupera e la inserisce in un racconto più ampio. L’antitesi è rappresentata da quella fase della sua carriera che si è aperta con “Artpop”, il momento del crollo, e che è proseguita poi con la ricostruzione di “Joanne” (di “Chromatica”, per la cronaca, fa zero pezzi). Infine c’è la sintesi: «Troveremo un modo per convivere come gemelle che duellano tra loro», dicono del resto all’unisono, come le gemelle di “Shining” di Stanley Kubrick, le due Gaga all’inizio dello show, sul maxischermo.
Ogni frammento del passato trova finalmente il suo posto
«Anche se non riesci a rimettere insieme i pezzi alla perfezione, puoi creare qualcosa di bello e integro a modo suo», ha detto Gaga del processo creativo che ha portato alla genesi di “Mayhem”. È la frase che racchiude il senso dell’intero show: accettare le proprie contraddizioni e trasformarle in forza. C'è stato un tempo in cui Lady Gaga sembrava non accettarle, quelle contraddizioni: ricordate quando nel 2019, dopo il rilancio con "A star is born", ripudiò lo stesso "Artpop", l'album del 2013 accusato dalla critica di essere un lavoro fin troppo pretenzioso e cerebrale, twittando un lapidario «non ricordo Artpop»? Oggi Lady Gaga è un’artista che non ha più bisogno di distruggere, e di distruggersi, per esistere: costruisce un autoritratto in cui ogni frammento del passato trova finalmente il suo posto.