Zen Circus: “Il male non è intorno a noi, il male siamo noi”

Il nuovo album “Il Male” è spietato e irriverente: “Siamo le vecchie troie della Generazione X”

La title track del nuovo album degli Zen Circus, “Il Male”, in uscita venerdì 26 settembre, come quasi sempre accade nei loro dischi, si occupa di accendere le luci su un tema generale. Il lavoro si sviluppa intorno all’idea del “male” come grande argomento “rimosso”. Allontanato dalla narrazione artistica, intellettuale e colloquiale, scacciato in favore della retorica. Vietato a suon di ban e shitstorm. Obliterato in favore di un “bene” sempre più finto, globalizzato e pubblicitario. “E per questo motivo il male oggi sembra sempre più normale, spaventoso, profondo”, sottolinea Andrea Appino. Gli Zen sono tornati: irriverenti e caustici come agli inizi, ma maturi come impone la loro età, nel sound e nella scrittura. “Il Male”, che verrà presentato in tour, è uno dei dischi migliori di Appino, Ufo e Karim Qqru perché unisce in modo non forzato critica sociale, racconto dei sentimenti, schitarrate e melodie pop a un atteggiamento beffardo e punk che oggi, nella musica popolare, sembra quasi scomparso.

Andrea, l’album è stato pianificato o a un certo punto vi siete resi conto che le canzoni scritte parlavano tutte di un “male”?
Ce ne siamo resi conto dopo. E questo è un processo avvenuto pochissime altre volte nella nostra storia, con “Andate tutti affanculo” e con “La terza guerra mondiale”. Banalmente ci siamo accorti che la parola “male” compariva in diversi pezzi, da qui il titolo, arrivato naturalmente.

Nel disco ci sono vari “mali”, da quelli intimi e personali a quelli della società capitalista. Che cosa li accomuna e quindi che cosa unisce le canzoni?
Che oggi il male viene rimosso dai dialoghi, dal mondo dell’arte, dal dibattito collettivo. Pensa agli shadow ban. Se guardi i social il bene sembra sempre trionfare, proprio come nelle canzoni. La verità è che oggi il male in realtà è gigantesco e spaventoso, non è mai stato così forte. Quindi è evidente: c’è qualche cosa che non torna. Perché non lo vogliamo vedere? Noi nel disco lo raccontiamo e lo facciamo anche parlare, gli diamo spazio. Lo facemmo già in un pezzo, “Zingara”.

È un modo per disinnescarlo?
Sì. Non va trattato come un’ombra. Non va allontanato. Poi, diciamolo, questa divisione manichea tra “bene” e “male”, in realtà, non ci convince del tutto. Ma se dobbiamo scegliere, allora è meglio indagare il male.

In “Novecento” irridete il male, arrivando a mettere nella stessa frase nomi come Putin e Gerry Scotti. La musica popolare sa ancora schernire il potere?
Non so del tutto rispondere, ascolto poco musica contemporanea. A noi piace farlo. Siamo ancora allegramente fatalisti e stronzi. Ci piace disinnescare le cose. Tanti miei coetanei dicono: “Quanto era meglio prima…”. In realtà siamo figli del ‘900, che è stato comunque un secolo pienissimo di oscurità. Nella canzone ricordiamo tanti “figli del ‘900”, tra cui quelli che hai citato. E questo inevitabilmente crea ironia, un’ironia rotta dalla frase: “Rimane soltanto la puzza dei corpi incendiati e lasciati marcire. Rimane soltanto la faccia di merda che abbiamo prima di morire”. Perché va bene cazzeggiare, ma fino a un certo punto….

In “Vecchie troie” attaccate le nuove generazioni. Anche qui c’è il ghigno da Joker.
Le “vecchie troie” della Generazione X siamo noi (ride, ndr). Non troppi anni fa cantavo: “odio la mia generazione”. Ed è vero, è ancora così. Qui malediciamo i giovani perché ci ricordano che ci saranno loro e non più noi, ci ricordano che abbiamo una data di scadenza. Non stiamo realmente attaccando i giovani, ma noi, il nostro modo di pensare.

C’è una cosa che però mette tutti d’accordo e lo cantate con grande amarezza: “Fasci, amici, nemici, attivisti, sorelle, disabili, tossici, santi, pezzenti e snob vogliono tutt* solo i sold*”.
Quando parli con le persone non è proprio così, sono i social spesso a dare questa “narrazione del posizionamento” attraverso il denaro. Però è un tema, senz’altro, e lo cantiamo. Il denaro ci muove, è inseguito sia da chi vuole diventare milionario e sia da chi deve tirare a campare.

Ti ricordi quando hai scritto “È solo un momento”, uno dei pezzi più belli del disco?
Proprio in uno di “quei” momenti. Insieme a “Meglio di niente” sono figlie della fine di una mia relazione importante. È un pezzo che parla di un “male” diverso, parla di solitudine. Non è deprimente, è un brano anche sull’autodeterminazione e credo che possa parlare a tutti, a tutte le generazioni.

La chiave di questo lavoro è la canzone “La fine”: “il male siamo noi”?
Sì. Dentro di noi c’è tutto, anche il male. Cercarlo anche politicamente e socialmente “fuori da noi”, nell’altro per esempio, è pericolosissimo. Innesta deliri.

Nel disco tornano i gatti.
Sono un gattaro. Vengo da una famiglia di gattari. Come si evince dal disco esco da una relazione lunga. I gatti erano con me prima, lo sono ancora oggi. “Meglio di niente” inizia con il nome del mio gatto ed è una canzone che ho sognato. Proprio quel gatto, che aveva fame, mi ha svegliato e mi ha permesso di prendere al volo la chitarra per suonare il pezzo. Così facendo l’ho fissato, l’ho ricordato, non è svanito con il sogno. Non mi era mai successo qualcosa del genere.

Nel 2020 avete pubblicato “L'ultima casa accogliente”, un disco complesso, e nel 2022 “Cari fottutissimi amici”, che è una grande festa con ospiti. Questo album è più un ritorno alle origini?
“Cari fottutissimi amici” è più una raccolta che un vero nostro disco. Quest’ultimo album è figlio di varie cose. Veniamo da anni di esplorazione dei sentimenti e di dischi più “prodotti”. Qui invece abbiamo registrato le canzoni dritte, senza ulteriori modifiche, esattamente come facevamo nei primi anni ’90. È un disco che non smussa gli spigoli, nei testi e nel sound. È l’opposto del mio ultimo progetto solista “Humanize”. Insomma, ci siamo tutti ritrovati a voler fare lo stesso album: “Il Male” è nato così. 

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