Canzoni ribelli, nate frequentando le riserve, ascoltando le storie e cantante per sete di giustizia. E poi diventate, nel tempo, degli inni. Uscì nel 1964 e scioccò la scena country del tempo, legata all’immaginario dell’uomo bianco cowboy. Johnny Cash, leggenda della musica country e non solo, fece un disco rivoluzionario totalmente dalla parte degli indiani d’America, ispirato dalle loro storie. Un album che, per la sua carica politica e sociale, le radio di genere provarono a censurare, con Cash che in un primo momento dovette pagare di suo pugno gli spazi sui media per cercare di far conoscere a più persone possibili le sue canzoni. Il lavoro in questione è “Bitter Tears: Ballad of American Indian”.
Lungo tutto l’album Cash, infatti, si concentra sul duro e ingiusto trattamento inflitto alla popolazione indigena americana, innalzando tradizione e storia dei Pellerossa. I brani sono scritti in parte da Cash e in parte dal folksinger mezzosangue Peter La Farge. In "Custer" viene picconata e ridicolizzata la venerazione popolare per il generale George Custer, diventato un’icona per le sue battaglie contro gli indiani. In “The Talking Leaves" si affronta il tema dell'invenzione delle parole scritte da parte di Sequoyah, nativo americano che fece progredire l’alfabetizzazione del Paese. Il vero capolavoro rimane "The Ballad of Ira Hayes", cantata poi anche da Bob Dylan.
Il pezzo mette al centro la storia del soldato indiano Ira Hamilton Hayes: era stato fra i marines immortalati nell’atto di issare la bandiera a stelle e strisce dopo la storica battaglia di Iwo Jima durante il secondo conflitto mondiale. Solo che al ritorno a casa, emarginato in quanto indiano, si era ridotto in povertà ed era morto di stenti a poco più di trent’anni anche a causa della siccità di cui soffriva il territorio assegnato alla sua tribù. Il brano a lui dedicato, che non vuole dimenticare la sua storia, oggi è considerato tra le 100 migliori canzoni western di tutti i tempi.