Rock made in sottosopra: il debutto da solista di Finn Wolfhard
Per tutti è Mike Wheeler, il capobanda della gang di adolescenti protagonista di “Stranger Things”, la serie Netflix diventata in questi anni un vero e proprio fenomeno pop, di cui tornerà a vestire i panni a fine anno per la quinta ed ultima stagione (gli episodi saranno rilasciati sulla piattaforma tra il 26 novembre e il 31 dicembre, l’annuncio è arrivato sabato scorso durante Tudum, l’evento-congresso del colosso dello streaming al Kia Forum di Los Angeles). Ma in pochi sanno che Finn Wolfhard, classe 2002, oltre ad essere uno degli attori più lanciati della sua generazione, visto in blockbuster di questi anni come “It”, “Ghostbusters: Legacy”, “Ghostbusters - Minaccia glaciale” e “Saturday night”, è anche una rockstar nata. Che dopo le esperienze in band come i Calpurnia e gli Aubreys ora ci mette la faccia, come si suol dire, e pubblica il suo primo album da solista: si intitola “Happy birthday”, uscirà questo venerdì, e chi lo ha già ascoltato - a partire da Kerrang!, la Bibbia del rock alternativo - lo ha definito uno spiazzante e «inebriante mix di alternative Anni ’90’ e power-pop solare». Il disco è stato «scritto durante un anno di riflessione interiore» e le canzoni che lo compongono sono state «registrate quasi interamente su un registratore a quattro tracce nel tentativo di mantenere il suono il più crudo possibile», prima di essere prodotte da Kai Slater, 20enne nerd di Chicago considerato il nuovo mini-guru della scena post-rock statunitense.
Quando suonava i Pixies con i Calpurnia
Che come wannabe rockstar Wolhard avesse delle ottime carte da giocarsi lo si era intuito già ai tempi dei Calpurnia, la band adolescenziale composta tra il 2017 e il 2019 insieme a Ayla Tesler-Mabe, Jack Anderson e Malcolm Craig, con i quali rivisitò pezzi come “Where is my mind” dei Pixies, “Age of consistent” dei New Order, “Take on me” degli A-ha, “El Scorcho” e “Say it ain’t so” degli Weezer. Poi nel 2020 fondò gli Aubreys, insieme ai quali l’anno successivo pubblicò l’album “Karaoke alone”. “Happy birthday” è il primo disco in cui il suo nome compare sulla copertina: «Volevo che suonasse il più autentico possibile e un amico mi ha detto: “Se vuoi che la gente lo percepisca come più autentico, nascondersi dietro il nome di una band forse non lo renderà così personale e sarà più difficile entrare in sintonia con il progetto”». “Happy birthday” è un progetto intrigante, che proietta Wolhard in un ruolo che nessuno si aspetta da lui: quello del nerd della musica.
"Potevo fare un disco pop iperprodotto: non ho voluto"
È stato lui stesso in una lunga intervista a Kerrang! a raccontare di essere da sempre parecchio affascinato dalla tecnica e dalla tecnologia della produzione: «Ero ossessionato dal guardare i filmati dei Beatles che suonavano dal vivo, con tutta la loro attrezzatura e tutto il resto. Era qualcosa che mi affascinava molto. Da bambino, fantasticavo di essere in una band e di salire sul palco a suonare con la gente e per la gente». Ma le canzoni di “Happy birthday” non sono esattamente per la gente: Wolhard non sente l’esigenza di soddisfare altre aspettative se non le sue. «Firmare per una major o incidere un disco pop non è qualcosa che mi interessa. Probabilmente avrei potuto farlo se avessi voluto, avrei potuto fare un disco pop super-prodotto. Se avessi voluto seguire quella strada, avrei potuto esplorarla, ma sono più interessato a fare cose che mi piacciono e che trovo interessanti», spiega lui, che per tutto il mese di giugno sarà in tour tra Stati Uniti e Canada per presentare il disco, e chissà che entro la fine dell’anno non arrivi anche in Europa.
Il suono grezzo e spigoloso
La produzione di Kai Slater è senza fronzoli, grezza, spigolosa. È volutamente così: «Quando ascolto la musica, se riesco a immaginare il musicista che la registra mi sento più connesso ad essa. L'imperfezione e cose del genere mi fanno sentire molto più vicino al musicista e alla musica. Perché riesco a immaginare quella piccola scena in cui sbagliano una parte di basso e pensano: “Sai cosa? Andiamo avanti”. Questo rende il tutto ancora più umano e comprensibile. Queste canzoni, per me, erano frammentarie e divertenti. Uno dei motivi per cui le ho registrate su cassetta è che volevo che suonassero un po' imperfette, e a volte bisogna accettare gli errori. A volte non si riesce a fare il punch-in giusto, o non si riesce a sovraincidere il suono, ma diventano parte integrante della canzone. Alcune delle mie canzoni preferite in assoluto hanno strane imperfezioni e versi sballati che credo contribuiscano davvero all'autenticità del brano».