Quelli che hanno fatto Rockol (parte 2)

Pensieri, riflessioni, ricordi e auguri dagli ex collaboratori di Rockol

Laura Centemeri

We haven’t turned around  

Quando ho ricevuto il messaggio di Franco Zanetti, che mi invitava a contribuire ai festeggiamenti per i trent’anni di Rockol, stavo ascoltando in sottofondo dei brani scelti a caso dal mio computer, nella mia personale collezione musicale. Mentre leggevo il suo messaggio è partito l’attacco di “We haven’t turned around” dei Gomez, singolo tratto dal secondo album della band inglese, Liquid Skin, uscito nel 1999. Difficile non credere nella serendipità. I miei anni a Rockol sono proprio stati quegli anni lì, gli anni a cavallo del millennio, direi 1998-2000. Ricordo ancora i Gomez giocare a calciobalilla nello spazio relax dell’Heineken Jammin' Festival, a Imola, l’edizione del giugno 2000. Per Rockol c’eravamo io e Paolo Madeddu a svecchiare e movimentare la sala stampa con le nostre cronache da sotto il palco e da dietro le quinte. Cronache che raccontavano degli Oasis senza Noel e con uno sbadigliante Liam, dei Rage Against The Machine che si stavano sciogliendo, dei Muse in ascesa. E poi delle notti danzerecce dei Chemical Brothers e dell’apoteosi Eurythmics.  

È stato un paio di vite fa, ed era anche un altro mondo, o forse l’alba del mondo che oggi conosciamo. Nella cronoca dello show dei Morcheeba segnalavamo “la nuova moda di far ascoltare i brani clou del concerto via cellulare agli amici rimasti a casa”. Molti legami stretti allora nella redazione di Rockol sono restati e hanno resistito ai traslochi internazionali e ai cambi di mestiere. Oltre a Paolo Madeddu, Paola Maraone cui mi lega un’inossidabile amicizia. A Paola, in realtà, devo l’inizio della mia avventura a Rockol, come altre avventure editoriali che abbiamo condiviso in quegli anni giovanili. Ma penso anche a Valeria Rusconi e a Luca Bernini, la colonna romana, con cui un paio di anni fa ci siamo trovati a mangiare insieme a Trastevere la pasta col sugo di coda alla vaccinara e a ricordare i tempi andati, quando eravamo a Rockol. 

Quello che ci univa allora, e che ci unisce ancora, e che ci unisce a chi Rockol l’ha creato e l’ha fatto crescere - penso ovviamente a e Giampiero Di Carlo e Franco Zanetti, ma anche a Gianni Sibilla, Paolo Panzeri, Fabrizio Di Carlo – è la convizione che la musica sia una faccenda seria. Quello che ci ha sempre unito è una visione del giornalismo musicale che alla musica guarda anche come modo per raccontare una società, le sue trasformazioni, le sue derive, le sue contraddizioni. Ci ha sempre unito questa visione “nobile” del giornalismo musicale, che ci rendeva già allora insofferenti a un certo modo molto, troppo, mondano, spesso e volentieri pigro, di fare questo mestiere. La rete, allora in piena espansione, si presentava come una grande opportunità, uno spazio libero di espressione in cui dare visibilità a un modo diverso di scrivere di musica, con serietà, competenza e una buona dose di irriverenza. Le nostre recensioni non hanno mai fatto sconti e hanno spesso e volentieri indispetttito, ma mai gratuitamente, case discografiche e artisti. A guardare indietro, quegli anni a cavallo del millennio sono stati anni in cui si respirava un’aria di possibilità di cambiamento, in cui molte cose sembravano alla portata. Poi, è andata come è andata. Se siamo qui a festeggiare i 30 anni di Rockol, comunque, così male non è andata, almeno per Rockol . E allora auguri a un Rockol ormai adulto, che ha saputo navigare fino a qui, nel mare di una rete sempre più piena di rumore, senza perdere la bussola di un giornalismo musicale irriverente e (auto)ironico.

Paola Ceretti

Caro Rockol, di questi 30 anni io - per molti pocho@rockol - ho vissuto i tuoi primi 8, fatti di modem che non funzionavano e orari improponibili ma con una forza di volontà da vendere. Ricordo il primo anno passato in solitaria in ufficio dove l'occupazione prevalente consisteva nello studiare e spiegare agli altri cosa fosse il web, non certo il nostro servizio musicale. Ho trattenuto gli aneddoti delle persone che hanno aiutato agli inizi e che poi hanno preso strade diverse. Alcuni di loro li ho considerati meteore e poi rivisti in altra luce con il passare degli anni. Ricordo tanti ragazzi giovani: molti studenti o neolaureati, giornalisti bizzarri e nerd diversamente brillanti. Ancora oggi sorrido pensando alle contaminazioni che ognuno di noi portava dentro l'ufficio: quasi senza vergogna oserei dire, sicuramente esilarante :) Ricordo il trambusto per i primi artisti che ci venivano a trovare, le risate che stemperavano i carichi di lavoro e la voglia di inventarsi un mestiere che di fatto non si era mai visto (era il '95, vedi tu..). Quindi buon compleanno Rockol, mi piace ricordare la tua storia più acerba, quando tutto sembrava possibile e si procedeva anche per tentativi, un po' ubriachi dal carico di adrenalina e dagli aperitivi fatti tra i colleghi-amici in chiusura di giornata.

Antonio Clerici

Ero brand manager di Rockol (molti si ostinavano ancora a chiamarlo Rock Online...) da poco meno di un anno, Gp mi disse di scrivere un invito per il compleanno del'99: "Rockol compie 4 anni, ma c'ha una lingua...". Insomma, era già un tipino sveglio, impertinente. Ora ne fa 30 e come tutti quelli che hanno avuto la fortuna di crescere in famiglie che li hanno amati ed accuditi è un bel tipo autonomo e brillante. Auguri giovanotto!

Daniela Calvi

Lavoravo a Rockol da pochissimo. Il 29 settembre del 2004 avevo fatto un incontro con Franco Zanetti nel suo ufficio, che ai tempi era una stanza separata dal resto della redazione tramite una parete in cartongesso. Il colloquio fu rapido ma per nulla indolore. Alla domanda “che musica ascolti” risposi "tutto" e lui mi disse che tutto era niente. Palla al centro per Zanna. Allora mi uscì dalla bocca una sequenza di nomi come Camaleonti, Celentano, Equipe 84, che erano poi i complessi che mi faceva sentire mio padre quando ero bambina. Dissi che ero cresciuta leggendo il "Dizionario della musica italiana" di Renzo Arbore e che in tv guardavo Anni Luce di Enrico Vaime, finché a un certo punto, incuriosito e togliendosi il sigaro dalla bocca, disse: "sei sicura di avere 21 anni?" (Stessa domanda me la fece il buon caro vecchio Alfredo Marziano qualche mese dopo, l’ho sempre preso come un complimento). Il colloquio finì così: "Qui tu non servi, non c’è posto per te, ma se vuoi rimanere qualcosa da farti fare lo troviamo, ti insegno tutto io". Dal giorno dopo cominciai a lavorare in redazione. Zanetti mi mandava a tutte le conferenze stampa possibili e immaginabili; a volte veniva anche lui e un po’ di nascosto osservava come mi muovevo. Se facevo domande, se interagivo con i colleghi giornalisti, se mi fermavo al buffet a mangiare, come mi rapportavo con l’ufficio stampa… 

Un giorno di fine ottobre, sempre del 2004, Zanetti mi dice di farmi trovare alle 15.00 in via Pinco Pallo 12. Non aggiunge altro, non mi manda nessuna cartella stampa, nessun comunicato. Alle 14:45 arrivo all’appuntamento e comincio a camminare nervosamente su e giù per la via. Ero reduce da una notte in Croce Bianca perché ai tempi facevo ancora la volontaria ed ero fisicamente provata. Arriva Franco e mi chiede se lo accompagno al bar a prendere un caffè, ma rifiuto l’offerta dicendogli che ne avevo già presi cinque e non ne volevo più. Il non sapere cosa stavamo andando a fare mi terrorizzava ma allo stesso tempo non volevo far vedere al mio direttore che ero agitata e preoccupata. 

Dopo il bar entriamo nel palazzo e prendiamo l'ascensore. All'ultimo piano ci troviamo davanti a una porta con delle iniziali, ma ancora non riesco a capire bene cosa ci faccio lì. Mi apre la porta Luigi Schiavone e così mi rendo conto di essere appena entrata in casa di Enrico Ruggeri che è sul divano ad aspettarci. Tutti sanno perché siamo lì tranne me. Si alza, mi viene incontro, si presenta e ci accomodiamo, mentre Schiavone viene a prendere le ordinazioni. Zanetti non fa in tempo a declinare l'offerta di un caffè per me e per lui che io mi raddrizzo sul divano e dico sicura: "Certo grazie, un caffè lo prendo volentieri". Torna poco dopo e mi porge la tazzina. Prendo un cucchiaino di zucchero ma sono così agitata che tremando visibilmente e spargo tutto lo zucchero sul tavolino. Mi guardano ed elegantemente fanno finta di niente. Zanna un po’ ridacchia, mi ha beccata e ha capito che sono agitatissima. Ripeto, ho 21 anni (in realtà ancora 20), sono seduta sul divano a casa di Enrico Ruggeri e solo quando siamo lì capisco che il mio lavoro è vedere "Ulisse", il DVD per i suoi 25 di carriera, e intervistarlo. Non sono pronta per questa cosa, non sono preparata per questa cosa, non sono una grande improvvisatrice. Non ho letto niente, non mi è stata data nessuna informazione ed è proprio quello che Zanetti vuole, vedere come me la cavo, come la gestisco, che tipo di domande faccio, e come riesco a tenere una conversazione con un artista che secondo lui io non conosco. Il fatto è che io adoro Enrico Ruggeri, conosco tantissimo di lui. Alcuni pezzi dei Decibel li ho consumati, mentre le lacrime versate su "Il portiere di notte" e "Prima del temporale" lo sa solo il mio cuscino. Quando vinse con "Mistero" a Sanremo nel '93 ero la bambina più felice del mondo. Sì, forse negli anni a seguire poi lo avevo un po’ perso di vista, ma nella mia infanzia aveva sicuramente ricoperto un ruolo importante. Guardiamo il DVD, a volte ci interrompiamo e io comincio a fare delle domande. Zanetti è già sparito in cucina lasciandoci soli. Con Ruggeri si instaura subito una bella sintonia, tanto che negli anni a seguire ogni volta che c’è stata occasione di vederci ci siamo sempre salutati con affetto. La mia prova finisce. Salutiamo e ce ne andiamo. Saliamo in ascensore, muti. Zanetti mi guarda e tiene lo sguardo fisso. Aspetta una mia reazione. Io sono furibonda e mi permetto, alzando un poco la voce, di dirgli di non farmi mai più una cosa simile. Poi ritorno al mio posto, le porte dell'ascensore si aprono e ci incamminiamo verso la redazione. Siamo io, Zanetti e il mio sorriso sulla faccia. Un trio meraviglioso.

Paola De Simone

Pensavo sarebbe stato più facile scrivere un pensiero da dedicare a questo importante compleanno. Ma, scavando nei ricordi, mi sono resa conto che a Rockol mi legano troppe emozioni e sinceramente non riesco neanche ad afferrarle tutte. Provo a metterle a fuoco e mi vedo arrivare in redazione con il mio bagaglio di ingenuità e impreparazione. Era il gennaio del 2003. Ho lasciato Pescara esattamente durante i funerali di Giorgio Gaber. La redazione tutta mi accoglieva con sorrisi e gentilezza. Beppe, Davide, Gianni e Valeria, c’erano loro quel giorno quando ho messo piede per la prima volta a Rockol. E naturalmente c’era Franco Zanetti, nella sua fumosa stanza da Direttore. Cosa mi aspettasse l’ho scoperto solo a distanza di anni. 

Sì, perché quei mesi di permanenza nella redazione sono stati talmente pieni che c’è voluto del tempo per decifrarne l’importanza nel mio cammino professionale. Non tutti lo sanno, ma io nelle stanze di Rockol ho vissuto, grazie alla generosità di Giampiero Di Carlo, al quale devo la mia più importante esperienza formativa. Mi svegliavo prestissimo per non farmi trovare in déshabillé, mi lavavo e vestivo praticamente all’alba. E appena arrivava qualcuno in redazione, chiudevo la porta della mia stanza e iniziavo a lavorare fino a sera, finché anche l’ultimo dei redattori non fosse andato via.

Lavorare non mi pesava. Scrivevo, preparavo interviste, vivevo i piani alti della discografia. Sì, perché Rockol si era guadagnato un posto d’onore accanto ai quotidiani, e io ne godevo il privilegio. Ogni tanto in redazione spuntava qualche artista: ora passavano i Negramaro, ora Renga, ora Pedrini… e poi le cene con Tiziano Ferro, i concerti di Guccini, Zucchero e via così. Per non parlare del Festival di Sanremo, vissuto più volte in Sala Stampa, con ritmi estenuanti e scene emozionanti. Quante volte mi sono chiesta se stavo sognando.

Ma niente di tutto questo avrebbe avuto un senso senza la direzione di Franco, tuttora l’uomo a cui devo quasi tutto quello che so sul giornalismo vero.

E allora, da dove comincio per fare gli auguri a Rockol? Concedetemi di farlo dal mio presente di professionista realizzata, ancora innamorata del mio lavoro di giornalista e comunicatrice, merito indubbiamente anche di questa preziosa famiglia, cui sono grata. Brindo a te, Rockol. Cin cin!

Enrico Deregibus

Di sicuro il posto era Sanremo, Piazza Colombo. L’ora credo fosse abbastanza tarda, così come quell’anno, il 2000, in cui a settembre mi ero licenziato dal checcozalonesco posto fisso per lanciarmi nel lucente mondo della musica, per scriverne e per organizzarne. E camparne.
Con me c’erano due persone, una non ricordo chi fosse, l’altra era Franco Zanetti, già direttore di Rockol. Questo lo sapevo. Quel che non sapevo era che 18 anni prima era stato uno degli artefici di “Il tuffatore” di Flavio Giurato.
Stavamo parlando di musica (ma va’) e io dissi che per me quel disco è fra i cinque più eclatanti di tutta la musica italiana. E Franco mi rispose una cosa del tipo “sono d’accordo, ci ho lavorato anche io su quel disco, ero capo ufficio stampa della CGD”.
Quella sera, o forse poco dopo, mi chiese di collaborare con Rockol. Mi aveva già letto (ero vicedirettore dell’Isola che non c’era e scrivevo assiduamente su Kataweb, il portale del gruppo Espresso), ma forse è stata la scintilla Giurato ad accendergli l’idea di chiamarmi a Rockol.
Accettai, ovviamente, ed imparai molto, altrettanto ovviamente. Ma mi camuffai dietro uno pseudonimo – 25 anni dopo si può dire – perché continuavo a scrivere anche per Kataweb, che era una sorta di concorrente anche se non belligerante.
Ed è così che, nom de plume Francesco Casale, a gennaio 2001 ho cominciato. Col botto, se così si può dire. Perché, a sorpresa, Rockol decise di premiare l’autore dell’articolo numero 30.000 della testata con una bella cifretta. Ed ero proprio io, ultimo arrivato. Faccenda un po’ imbarazzante, risolta offrendo l’aperitivo a tutti (in realtà vennero in due o tre).
Poi a fine febbraio ci fu Sanremo 2001, il primo in cui Rockol sbarcava in forze in riviera. Otto giorni immersi lì dentro, dalla domenica prima alla domenica dopo, in quella realtà parallela che è la città di Sanremo durante il festival.
Redazione in un hotel dietro Piazza Colombo, due o tre interviste al giorno in giro per gli alberghi della città, una sera (quella della finale dei giovani) anche in sala stampa.
E poi… e poi tanti altri piccoli ricordi che si perdono, poi tornano, si offuscano, si contraddicono, si riperdono. Ma restano.
Grazie Rockol. E auguri!

Gianpeppe Di Meo

Vent’anni fa, un po’ per caso, sono entrato dalla porta di Rockol per discutere una semplice attività di consulenza di una settimana. Quel giorno mi accolsero Paola e Gianpiero e, dopo appena 30 minuti di chiacchierata e una stretta di mano, mi ritrovai catapultato in una bellissima famiglia.
Quella che doveva essere una breve collaborazione si è trasformata in un’esperienza straordinaria, durata cinque anni, fatta di progetti entusiasmanti, condivisione autentica e un ambiente unico nel suo genere. Rockol non è stata solo un’azienda: è stata una famiglia, una palestra di idee, una fucina di innovazione e passione.
I colleghi, con il loro entusiasmo e la loro professionalità, hanno reso ogni giorno speciale. Ma è stata soprattutto la guida e la visione di Gianpiero a rendere tutto così unico: la sua capacità di ispirare, di coinvolgere, di farci sentire sempre parte di qualcosa di più grande, che cresceva con passione, competenza… e anche con quella leggerezza che solo le vere avventure sanno avere.
Rockol ha segnato una tappa meravigliosa della mia vita, lasciando un ricordo profondo, autentico, proprio come accade con le storie più belle, quelle che ti accompagnano per sempre.
Ci risentiamo tra 20 anni, per festeggiare insieme i 50 di questa straordinaria famiglia.

Luis Dragotto

Lavorare in Rockol è stata una bellissima esperienza ed un cambio di vita, visto che Gp mi convinse a spostarmi a vivere da Roma a Milano, accogliendomi a braccia aperte per un periodo lungo in cui rimasi a dormire a casa sua. Il ricordo più divertente che mi è rimasto in mente è quello di quando Fabrizio Di Carlo una volta disse "si è incagliato il sito", per indicare che qualcosa non stava funzionando come avrebbe dovuto... non so perché, ma quel termine me lo sono continuato a portare avanti per anni. Ricordo con piacere la cucina dove facevamo le riunioni, su quel tavolo in vetro, e l'ascensore che portava alla "bat-caverna", che poi era il garage. Il ricordo più interessante? Quando abbiamo collegato il catalogo della Sony, se non ricordo male... lo avevamo fatto mettendo un modem con una linea dedicata, e un software che avevo scritto che si connetteva per prelevare le informazioni sul catalogo... ricordo che per collocarlo fummo costretti a trovare spazio in un groviglio di cavi pazzesco, si reggeva tutto per miracolo... però funzionava! Dall'altra parte, ad elaborare i dati avevamo dei nuovi server che a quell'epoca erano modernissimi. Ricordo poi l'emozione quando allargammo gli uffici a un intero secondo piano, quell'odore di moquette appena pulita... e, ancora, quando organizzammo il Monza Rock Festival con lo streaming dal vivo, che era una cosa ultra-innovativa, costava una quaresima, e richiedeva di portare un sacco di strumentazione... con gli Skunk Anansie che, quando salirono sul palco, non vollero nessuno di noi attorno, ma solo il proprio staff... che snob che furono! Ricordo la quantità abnorme di sfide e problemi tecnici che dovetti affrontare, per risolvere il numero di utenti che cresceva sempre più e che bloccava tutto, e il lavoro immenso per portare la struttura tecnica ai livelli più alti. A distanza di tanti anni, avendo lavorato in tanti altri posti, ho imparato ad apprezzare particolarmente il modo con cui Gp portò avanti l'ambiente lavorativo in quegli anni: con amicizia, rigore e professionalità, con un mix che non ho mai più trovato da nessun'altra parte...

Beppe Fabris

Il 15 luglio 2001 ho varcato per la prima volta la soglia degli uffici di Rockol.
Avevo un appuntamento per il colloquio per uno stage con Gianni Sibilla e Franco Zanetti.
Gli occhiali scuri di Franco non facevano trasparire alcuna emozione, io ero totalmente nel panico, ma non ricordo altro.
Quell’estate iniziai a imparare un lavoro che per il me di allora, ragazzo della provincia veneta appassionato di musica, era un sogno ad occhi aperti.
Ma non fu tutto rose e fiori, perché fin da subito fui costretto a scontrarmi con i miei limiti,
scrivevo malissimo e, almeno per il primo anno, quando entravo in redazione speravo di riuscire a far passare una giornata senza fare errori, senza ricevere le mail di Franco con le correzioni in rosso.
Ma è stata una grande scuola, forse la migliore che abbia mai frequentato, alleggerita dal fatto che per me, che non conoscevo nessuno, Rockol è stato il luogo dove ho conosciuto i miei primi amici, persone che frequento oggi, come allora.
In questa famiglia allargata, in cui sono cresciuto umanamente e lavorativamente, ho accatastato un elenco infinito di ricordi e aneddoti dei fatti più assurdi e divertenti vissuti con i miei ex-colleghi, e, purtroppo per loro, la mia memoria da elefante se li ricorda quasi tutti.
Ma non voglio mettere in imbarazzo nessuno, così ho deciso che farò una lista di eventi che solo chi ha vissuto quegli anni può capire e per tutti gli altri rimarrà solo il mistero:

- L’uomo nudo nel bagno
- Lo scherzo del finto coito nel corridoio di un hotel
- Lo scherzo del finto arresto
- Quel giorno in cui chiusero l’acqua del condominio e qualcuno iniziò ad urlare per la disperazione verso un tombino
- Quella volta che un redattore mise in discussione le doti tecniche di un famoso musicista, il quale non la prese proprio bene
- Quella volta che una stagista esclamò: “Ah, ma quanti dischi hanno fatto questi A.A. V.V.”
- Quella volta che un’altra stagista organizzò una pizzata per il suo ultimo giorno di lavoro, ma non si presentò mai
- I racconti intorno al “fuoco” di Paolo

Probabilmente se ci mettessimo di nuovo attorno ad un tavolo, la lista degli aneddoti sarebbe enormemente più lunga, ma non voglio tediarvi.
Chiudo con un solo pensiero: per anni ho sperato di ritrovare un ambiente lavorativo simile a quello che ho vissuto a Rockol, anche con gli stessi naturali momenti alti e bassi.
Mi ritengo veramente fortunato ad aver avuto questa opportunità che ha cambiato radicalmente la mia vita.
Grazie ancora Rockol, cento di questi anni!

Mara Fanchini

Ah, il 1999. L’anno in cui Napster mandava in tilt i computer, i modem facevano quel rumore che sembrava un’astronave in panne e io atterro in una redazione musicale online. “Online”. Una parola che all’epoca suonava futuristica quanto "teletrasporto" o "colonia su Marte".
Era un’epoca in cui i CSS erano ancora un’utopia e costruire un sito significava armeggiare con tabelle HTML come fossero Lego impazziti. In quel far west digitale questa rivista osava crederci e io, grafica inconsapevole, mi ritrovai a progettare interfacce in un mondo dove “user experience” significava sperare che la pagina caricasse prima che il lettore cambiasse idea e “mobile friendly” era un sogno irrealizzabile, perché i telefoni servivano ancora… per chiamare.
Quella redazione era famiglia. E lo è stata per 15 anni. I colleghi che mi hanno insegnato a “parlare in codice” (letteralmente), le risate (e le lacrime) quando il sito sembrava un esperimento di arte astratta, le amicizie che ancora mi accompagnano nei momenti importanti della vita. E oggi, mentre si festeggiano tre decenni di quella che qualcuno avrebbe definito “startup” e ora è un’istituzione, mi emoziona pensare che - in qualche modo – ho contribuito a scrivere un pezzo di questa storia. Buon compleanno Rockol! Grazie per avermi fatto crescere tra tag, tracklist e sogni in RGB.

Andrea Fontana

Auguri ragazzi! A 30 anni si è ancora dei ragazzi e la speranza che "il meglio deve ancora venire" è intatta e inattaccabile. Soprattutto se si è diventati, da ben prima della maggiore età, un punto di riferimento per appassionati e addetti ai lavori.
Il mio contributo è stato ben poca cosa, chiamato ad ampliare la formazione titolare in occasione di alcuni Festival di Sanremo. Otto al vostro fianco. Il più appagante da un punto di vista professionale il primo, quello vinto da Elisa. Correva l'anno 2001.
Tra i ricordi indelebili, il signore tedesco, presente tutti gli anni, superappassionato di Mina e dei Beatles, che sfidava Franco Zanetti e Massimo Cotto con quesiti degni del domandone finale di "Rischiatutto". Mi sembravano tre marziani. Ricordo con piacere anche una lunghissima chiacchierata con Morgan, incrociato con Franco alle due del mattino mentre tornavamo in albergo sotto una pioggerellina battente. Non abbiamo raggiunto le nostre stanze prima delle quattro.
Dall'ultima volta che siamo stati insieme sono passati 15 anni. Sono orgoglioso di voi e dell'amicizia del direttore. Da tifoso interista posso intonare lo stesso coro dedicato a Javier Zanetti. Anche quando si parla di musica, "c'è solo un capitano" . Cambia soltanto il nome di battesimo.

Federica Galimberti

Sono già 30 anni! Buon compleanno Rockol. Per me Rockol non è stata solo una testata: è stata una scuola, un punto di partenza, un luogo dove ho imparato cosa vuol dire davvero fare giornalismo e fare comunicazione nel web.
Non solo scrivere notizie, recensioni o interviste, ma capire l'importanza di ogni parola, il peso delle intenzioni e la forza delle passioni.
È stata anche il mio entrare in contatto con una delle lezioni più importanti del web: l'autenticità e la chiarezza.
Autenticità e chiarezza nelle intenzioni di qualsiasi testo o contenuto. Nel modo di raccontare. Nello scegliere cosa dire e cosa no.
In quella redazione ho imparato a riconoscere e a rispettare il lettore e a riconoscere l’amore per la musica (quello vero).
Quel che ho appreso a Rockol è diventato parte del mio modo di lavorare, parte del mio modo di scrivere, guidare e, in fondo, anche del mio modo di ascoltare il mondo.
In tutte le redazioni e nei siti in cui ho lavorato dopo, ho portato un pezzettino di Rockol. E ci sarà sempre.
Un grazie enorme a tutte le persone con cui ho condiviso quel percorso: alla redazione, a Franco Zanetti che è stato una guida, a Giampiero di Carlo per la fiducia e la visione, e a tutti i colleghi con cui ho avuto la fortuna di confrontarmi, crescere, ridere, discutere e imparare.
E un grazie anche agli artisti che ho avuto il privilegio di incontrare: ognuno di loro mi ha lasciato qualcosa, una riflessione, una frase, una canzone che ha cambiato il modo in cui guardavo la musica — e il mestiere.
Rockol è un pezzo importante della mia storia, e sarà sempre parte della mia voce.
Buon compleanno. E grazie, di cuore.

Ercole Gentile

Ho iniziato a collaborare con Rockol nel 2004, 21 anni anni fa. Un curriculum mandato senza molte speranze, il Destino vuole che il direttore Franco Zanetti sia del mio stesso paese, Gussago, in provincia di Brescia, e mi chiami il giorno successivo per un caffè in piazza. Non ci credevo.
Qualche settimana dopo vado in redazione a Milano, e per me 23enne che aveva sempre desiderato di lavorare nel mondo della musica sembrava tutto un sogno. Scrivanie piene di dischi non ancora pubblicati (ricordo "Il suicidio del samurai" dei Verdena in procinto di uscire), artisti che passavano dalla redazione, persone preparatissime e discussioni infinite di musica.
La mia prima recensione fu l'album di debutto dei Franz Ferdinand, una giovanissima band indie-rock scozzese: il mio primo pezzo firmato, mi sembrava incredibile.
Andavo una volta a settimana a Milano e mi riempivo lo zaino di dischi su cui lavorare, sembrano tempi lontanissimi con il digitale di oggi. Mi occupavo anche della sezione In Vetrina, brevi segnalazioni di album, che mi hanno permesso di farmi una cultura musicale enorme e molto variegata.
Non posso dimenticare alcune interviste che ho avuto l'onore di fare come Florence & The Machine al Gallia Hotel dopo il suo primo incredibile album, o i miei miti Massive Attack, ai quali feci firmare il cd originale di Mezzanine, uno dei miei album preferiti di sempre. O ancora i tantissimi report dal vivo, dai Pearl Jam agli AC/DC, Heiniken Jammin' Festival e chissà quanti altri.
O la mia prima e unica volta a Sanremo, dove saltavamo di hotel in hotel per le interviste a personaggi che fino al giorno prima avevo visto in tv: da Franco Califano a Francesco Renga, passando per dei giovanissimi Negramaro. Come scordare una cena in un ristorante sanremese dove i due "saggi" della redazione Zanetti e Marziano si sfidavano a colpi di quiz sugli anni di pubblicazione dei dischi?
Poi il mio trasferimento a Berlino, da dove per alcuni anni ho continuato a collaborare (in totale credo siano stati 10 anni), prima di prendere altre strade lavorative sempre nel mondo della musica.
Rockol è stato l'inizio di tutto e avrà sempre un posto speciale nel mio cuore, senza la fiducia di Franco in primis, e poi di Giampiero e Gianni, chissà come sarebbe andata.
Ad maiora semper Rockol!.

Paolo Giovanazzi

Di norma, i trent’anni di carriera vengono celebrati con un cofanetto lussuoso, quindi è il momento di un Rockol Box Set. Lancio una proposta per una bonus track: se gli archivi sono rimasti in ordine, esiste una cassetta audio che documenta un’intervista a Captain Sensible dei Damned, in cui l’intervistato rutta e nega di averlo fatto, scaricando la colpa sull’intervistatore (io).
Buon trentennale a tutti i Rockolici!

Marco Jeannin

Non so. Non so se scrivere di musica sia davvero come ballare d’architettura. Non sono nemmeno sicuro che Frank Zappa (o Elvis Costello, o Laurie Anderson, Monk o chissà chi) l’abbia messa proprio in questo modo e, per di più, non sono neppure troppo convinto del fatto che non si possa effettivamente ballare d’architettura.
Quello che so, e di cui sono più che certo, è che scrivere di musica è un mestiere tosto, anzi, tostissimo. Me ne rendo conto oggi ancora una volta, dopo aver rispolverato la tastiera buona per mettere nero su bianco un paio di pensieri in occasione dei trent’anni di Rockol.
Di questi trenta, io e Rockol ne abbiamo passati insieme dieci tondi, parlando ininterrottamente di dischi, concerti e facendo interviste. Sono arrivato nel 2008 affacciandomi alla porta di quella che era la mia prima vera redazione, con la voglia di capire come si poteva scrivere di musica andando oltre l’essere un appassionato. Perché è sempre un po’ da qui che si parte, dall’essere degli appassionati. Ecco, la mia passione erano i dischi, ovviamente, ma soprattutto i live. Sono sempre stato un vorace consumatore di musica dal vivo e, se devo scegliere, credo che i miei ricordi più belli siano legati proprio ai concerti di cui poi mi sono ritrovato a parlare con l’intera redazione. Prima discorsi da fan, poi confronti tra addetti ai lavori, arrivando infine a mettermi alla scrivania per tradurre il tutto in articoli e news, cercando di trovare un modo per esprimere un punto di vista in grado di andare oltre l’emozione del momento. Raccontando, riportando, contestualizzando; cercando di approfondire non solo il come ma anche il perché di una performance. La stessa cosa vale per le recensioni degli album, uno sport estremo che mi ha regalato notti insonni passate a caccia di quelle che secondo me potevano essere le parole giuste, a volte azzeccandole a volte meno, ma sempre cercando si essere il più preparato possibile. Perché se si parla dei miei adorati Mogwai, se devo dire la mia sulla data dei Band of Horses o parlare del nuovo di Bruno Mars, devo saperlo fare come si deve.
Ed è questo che ho cercato di fare nei dieci anni a Rockol, qualcosa che ha cambiato il mio modo di vivere la musica, lavorando con persone che vivono di musica.
Quindi non so… non penso che scrivere di musica sia davvero come ballare d’architettura. Penso piuttosto che scrivere di musica sia complesso e necessario, oggi più che mai, a patto di metterci sempre idee critiche, punti di vista personali e tanta, tanta competenza. E Rockol questo fa, da trent’anni.
Auguri, “vecchio mio”.

Massimiliano Leva

2001, o giù di lì: il tempo vola, e io strenuamente faccio finta di niente. Ma i ricordi fluttuano e al setaccio del tempo almeno si può riconoscere che, nel cassetto della memoria, lascia anche cose belle. Io ero magro ma paciarotto di sogni. Grandi ambizioni. Il domani, non si sa mai. La colpa, il suggerimento di uno zio, a cui piacevano i Beatles e “i pezzi del Bertoncelli”. E così arrivai, varcai la soglia di Rockol. Carico come un pasdaran. Non ci sono rimasto poi molto in quella redazione. E con mio futuro rammarico. Ero pazzo: volevo lavorare per un grande quotidiano. Ma i ricordi appunto restano. Ricordo le appassionate discussioni in pausa caffé, poi tutti giù a lavorare. Ricordo gli ascolti freschi dei dischi che arrivavano ogni mattina (io che non sopporto Springsteen: spiacerà a Gianni ma a Franco no). Ricordo l'atmosfera, le persone, la musica. Rockol è stato un gran bel disco. Di quelli che 'ti mangi' già dalla copertina. Me lo voglio immaginare pure in vinile: trent'anni di vita valgono come un concept gatefold West Coast anni '60. Si vive anche per il fruscio di un disco graffiato. Oggi siamo in epoca IA. Cazzo ce ne frega a noi. Buon compleanno a Rockol.

Gabriele Lunati

Sì, sono già passati trent’anni. Eravamo tutti incantati (e incasinati) da Internet quando Rockol nacque, in un’Italia che per buona parte non era nemmeno ancora connessa e sapeva a stento cosa fosse il web.
Eppure eccolo qui, online dal 1995 senza mai smettere di raccontare la musica come pochi sanno fare.
Se sei cresciuto/a con articoli, interviste, recensioni e news musicali, molto probabilmente Rockol ti ha fatto compagnia lungo la strada.
Trent’anni di musica, di passione, di storie belle (e a volte anche un po’ storte), di backstage, classifiche, concerti e dischi da amare o criticare. Sempre con uno sguardo attento e una voce riconoscibile, senza piegarsi, senza vendersi o inseguire trend e mode ma capace di raccontarle e analizzarle.
Sono un privilegiato, lo ammetto, perché ho avuto l’onore di conoscere e frequentarne la redazione, ovvero chi se l’inventato e chi l’ha nutrito ogni giorno con la devozione che dedichi a una creatura preziosa che ha una missione precisa in un mondo digitale (e non) a tratti impazzito e incomprensibile, mutante e ambiguo come tutto il caos post social.
Condividerne sogni, ambizioni e preoccupazioni è stato davvero un periodo importante della mia vita che mi lega indissolubilmente e per sempre a Rockol.
Buon compleanno quindi e, ti prego, non abbassare mai il volume.

Paolo Madeddu

Steve Hackett (Genesis) e Stewart Copeland (Police) sono due dei musicisti ai quali sono sicuro di aver fatto la stessa domanda. Cercando di comunicare meglio che potevo che era dettata da sincera curiosità umana - e dopo aver ostentato il mio autentico interesse per il completo arco della loro vita e carriera.
(ovviamente è il tipo di domanda che agli artisti di un certo lignaggio è meglio fare verso la fine dell’intervista, perché potrebbero non prenderla bene, sentendosi sminuiti e incastrati nel proprio passato) (…e ringrazio Paul Weller per avermi impartito questa lezione a inizio carriera, quando esordii con una domanda sul SUO inizio carriera. Mi regalò mezz’ora di puro disprezzo manco gli avessi detto che non era vestito granché bene)
Va bene, veniamo alla domanda. Era:
“Non ti fa uno strano effetto, che tantissima gente voglia parlarti di un quinquennio della tua vita accaduto molto tempo fa? Sarebbe come se io incontrassi spessissimo gente incuriosita da quando facevo il liceo – e io fossi costretto a parlargliene come se fossero stati anni realmente interessanti”. (*) (**)
Perché vi sto dicendo questo?
Perché nel caso di Rockol, vivo la situazione opposta. Sono stato per tre anni e mezzo nella Mark II di Rockol, e nessuno me ne chiede mai nulla, e pochissimi di quelli che ci sono ora lo sanno. Ok, anche a me farebbe strano se mettessero il mio ritratto nei saloni della sede – però sarei disponibile per le convention, tipo i personaggi che hanno fatto una stagione in “Lost” o in “Game Of Thrones” e sono invitati come ospiti d’onore spesati e riveriti per tre giorni in qualche albergo di Las Vegas. E sarei pronto a raccontare a tutti che erano anni realmente interessanti in cui i modem facevano bzzzbrrrbip e a Sanremo ci andava uno solo di noi perché faceva schifo a tutti e il 99% dei siti musicali non esisteva (dico davvero) e non esistevano i blog e i social network quindi i fans non potevano coprirmi di insulti se ero un tantino scettico sullo straordinario esponente della SCENA da loro idolatrato.
A margine, se siete tentati di insultarmi retroattivamente mi spiace, ma la maggior parte delle cose scritte in quell’epoca, così mi è stato detto, è andata distrutta in un incendio, o un naufragio, o blindata in un magazzino del governo americano di fianco a misteriosi reperti religiosi ebraici.
Ho lavorato per altre testate, importanti o non proprio, ma, detto senza offesa, nessuna mi ha dato la stessa sensazione di far parte di una band. Anche se a dire la verità, mi sento nella situazione di Mick Taylor, che se i Rolling Stones lo incontrano per strada non lo riconoscono nemmeno. Stando così le cose, mi è difficile tediare le giovani leve con pesanti vaniloqui e inutili aneddoti. Però un volta ogni lustro mi danno la possibilità di infliggere pezzi come questo a voi lettori, ce ne dev’essere almeno un altro in archivio - e alla fine sono piccole microsoddisfazioni impagabili. Che infatti non vengono pagate, perché anche se erano gli anni floridi della “bolla di internet”, quando si bussava a soldi saltava fuori che erano stati distrutti in un incendio, o in un naufragio, o... Ma non importa, questo è un compleanno, e questo è il mio regalo a Rockol: tanti auguri, e possa vivere per sempre. O quanto meno, più del Festival di Sanremo.

(*) Per i fan dei Genesis: Hackett si mostrò divertito e mi chiese se gli anni del liceo non erano stati interessanti per niente, risposi che non era questo il punto. Ovviamente aveva capito il senso della domanda che peraltro, a distanza di tanti anni non gli rifarei: la sua carriera ha dimostrato a sufficienza che anche quando ha lasciato i Genesis si è portato dentro i Genesis più di alcuni che sono rimasti nei Genesis. Va beh, se ne può discutere. Non era questo il punto.
(**) Per i fan dei Police: non è che Copeland invece si mostrò infastidito, anzi: persona veramente piacevole. Non vorrei pensaste che lui a differenza di Hackett se la fosse presa e mi avesse suonato come un tamburo. Sarebbe stato un onore, comunque.

Paola Maraone

Luvi De André, i Finley, Simone Cristicchi, Biagio Antonacci, Polly Paulusma, Rudy Marra, Le Vibrazioni, Regina Spektor, Raf. E poi Piero Pelù, Luca Madonia, Povia, Antony and the Johnsons, Eros Ramazzotti. Cesare Cremonini, Rettore, Tori Amos. Alcuni scomparsi dalle scene ma la maggior parte – sorprendentemente – ancora saldamente ancorati a quel che il pop/rock è nel frattempo diventato. Mi fa un certo effetto rileggere l'elenco delle recensioni a mia firma: le più vecchie che ho scritto hanno 23 anni, più di mia figlia che ne ha appena compiuti 20, studia all'università e all'epoca non era ancora nemmeno un pensiero. Rockol in realtà è anche più longevo: stiamo festeggiandone il trentennale (auguri!). Ma quando nacque io ancora studiavo e comunque, per coronare il mio sogno di diventare giornalista musicale, dovetti restarmene parcheggiata un bel pezzo, più volte bussando alle porte – metaforiche e non solo – dell'editore Giampiero Di Carlo e del direttore Franco Zanetti, con cui nel frattempo avevo lavorato anche nella redazione del mitologico “Tuttifrutti” (il fatto che ve lo ricordiate, oppure no, dice molto sulla vostra età). Rockol all'epoca si chiamava Rock On Line ed era, nel nostro immaginario collettivo di giovani giornalisti amanti della musica, un mito, un vagheggiato punto d'arrivo, un'indiscutibile bibbia. Nonché un'idea geniale e in grado di precorrere i tempi: un'entità che esisteva esclusivamente in Rete quando ancora i giornali su carta vendevano molto, gratis da leggere, ma che pagava chi ci scriveva (e pure cifre significative, almeno per la me stessa di allora). Scavando nella memoria e ripensando oggi a quei tempi mi affiorano ricordi diversi – su tutti svetta la recensione non esattamente lusinghiera di un album di Laura Pausini, per la quale ella s'infuriò, scatenandomi addosso le ire incrociate del noto giornalista di un quotidiano che mi attaccò dalle pagine di un suo blog: “Le lavandaie non dovrebbero scrivere recensioni” (feci due riflessioni: 1. mai saputo di esser lavandaia 2. in ogni caso, perché alle lavandaie non dovrebbero occasionalmente esser concesse recensioni?). E poi ho scolpito in testa un notevole concerto di Sting (si era al Forum, pezzo di punta: “Desert rose”) che rappresentò per me un unicum – in genere non mi lasciavano recensire concerti, quelli toccavano a Luca Bernini e altri pezzi grossi, gente anagraficamente più grande, più esperta; di genere più maschile del mio, aggiungerei. Non dimentico, infine, la cronaca di un'edizione degli MTV Days di Bologna (2002, forse) per scrivere la quale dovetti spostarmi a Ferrara, dove avevo un cugino con il modem a 56 k che mi ospitò a casa sua per il tempo necessario a connettermi e inviare la mail con il testo (impiegai più di mezza giornata solo per questo). Per un certo tempo fui assegnata alle news d'industria: si trattava di rimasticare e rendere leggibili pesantissimi testi in inglese infarciti di dati, mai capito da dove venissero – me li mandava già selezionati Zanetti, se non sbaglio, ignoro però quale fosse la fonte originaria – ma quel che è certo è che era un lavoro tignoso, capace di suscitare quel genere di noia che nei tipi ossessivi come me può in fondo sconfinare in godimento; altri l'avrebbero considerato uno “stare in panchina” ma io avevo i miei pezzettini e il mio nome in fondo ai pezzettini e questo mi rendeva fiera. Senza contare che alle feste l'editore e i colleghi mi salutavano affettuosamente, cosa accaduta peraltro anche pochi mesi fa a un'edizione dei Rockol Awards; quando è successo ho pensato che era un piccolo miracolo dopo tutti questi anni in cui la vita mi ha portato altrove – oggi sono psicologa, psicoterapeuta; lavandaia anche, a tratti – e in cui comunque ho deciso di chiamare mia figlia Cecilia, sì, come la patrona dei musicisti.

Alfredo Marziano

C’ero anch’io, il 2 giugno del 1995, quando Rockol fece il suo debutto in rete. Non ricordo il mio primo articolo; forse un ritratto non proprio tenero su un personaggio della discografia indipendente allora piuttosto in voga. Giornalista già vicino ai quarant’anni di età, del World Wide Web sapevo poco o niente. Ma lusingato dalla proposta del direttore editoriale Gigio Rancilio, accettai comunque con entusiasmo di fare parte di quella sparuta pattuglia di carbonari da lui assemblata insieme a Giampiero Di Carlo (l’altro giornalista in organico era Franco Bacoccoli). Mi attraeva in particolare l’idea di potersi muovere in libertà scrivendo senza condizionamenti, in un ruolo diverso da quello a cui ero abituato. A quei tempi, infatti, coordinavo la redazione di “Musica e Dischi”, il mensile storico e istituzionale dell’industria discografica; non solo nel nome ma anche nell’atteggiamento, Rockol era più irriverente e più rock and roll. Forse più ispirato a “Rolling Stone”, insomma, che a “Billboard”.
Con Giampiero, con Franco Zanetti (che un po’ dopo la nascita del sito sostituì Rancilio), con le ragazze e i ragazzi della redazione ho lavorato a lungo conservando nel tempo rapporti di grande stima e affetto. Mi occupavo soprattutto dell’area “industria”, che ogni tanto mi poneva di fronte a notizie scomode e ad argomenti sensibili da affrontare con una certa delicatezza (soprattutto quando si trattava di acquisizioni, ristrutturazioni e licenziamenti). Pubblicare in tempo reale è sempre eccitante; ti mette nella condizione di sganciarti dai tempi e dalle modalità dettate dai tuoi interlocutori, quando alle notizie arrivi indipendentemente e prima degli altri. A volte facevamo incazzare discografici, uffici stampa, manager, promoter e artisti: quasi sempre, voleva dire che avevamo fatto bene il nostro lavoro. E quando le nostre soffiate, le nostre anticipazioni e le nostre inchieste venivano riprese da testate più grandi e famose ne avevamo una implicita conferma. Immagino sia ancora oggi così e mi fa piacere constatare che nel sito l’“area industria” (che oggi si chiama MusicBiz) si sia ulteriormente ampliata e consolidata nel tempo: ho l’impressione, così, di avere contribuito anch’io alla costruzione di qualcosa di duraturo.
Rockol mi ha dato l’opportunità di intervistare molti artisti importanti e interessanti (compresi miei miti giovanili come Peter Gabriel, Robert Plant o Paul Kantner dei Jefferson Airplane), di partecipare a grandi eventi (credo di non avere mai presenziato a una cerimonia più sfarzosa del lancio dell’album “Amarantine” di Enya nel castello di Vaux-le-Vicomte, vicino a Parigi), di vivere situazioni anche bizzarre e divertenti, a volte imbarazzanti o un po’ surreali. Quante volte, con Davide Poliani, abbiamo ricordato quella tempestosa telefonata ricevuta dal presidente di una multinazionale che un tardo venerdì pomeriggio in redazione trovò soltanto noi due? E mi viene sempre da sorridere quando ripenso alla volta in cui, imbottigliati nel traffico alle porte di Sanremo, Franco fermò al volo un motociclista convincendolo a portarmi a destinazione in tempo per l’inizio della conferenza stampa di presentazione del Festival. I caruggi della città dei fiori non mi sono mai sembrati così stretti…
Per me quei quasi vent’anni di collaborazione più o meno continuativa sono stati un’avventura formativa, coinvolgente e appassionante. E dunque, caro Rockol, non posso che farti i miei auguri più sinceri. Avere fatto parte della tua squadra resta un punto fermo del mio curriculum professionale e un autentico motivo di orgoglio.

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