Gli Studio Murena hanno fatto un disco alla Kendrick Lamar

“To Pimp a Butterfly”, capolavoro di Kendrick Lamar, uscito dieci anni fa, è sempre stata una reference soprattutto musicale perché il rapper di Compton ha avuto la grande capacità di portare letteralmente “dentro” il progetto una scena strumentale legata alla black music, illuminandola e facendola emergere. È un disco che fotografa, ancora oggi, una sorta di movimento artistico, ha una visione di insieme e allo stesso tempo racconta diversi aspetti della vita dell’artista. È spesso e denso sia musicalmente che liricamente, e ha una sua precisa direzione.
Con tutte le debite proporzioni, lo sottolineiamo più volte, “Notturno” degli Studio Murena fa lo stesso: dalle parole ai suoni lascia il segno e fotografa tanti elementi che, insieme, formano qualcosa di compatto, di libero e di coerente a livello creativo. Undici brani in cui testi sferzanti, introspettivi e sinceri si intrecciano con la miscela sonora della band, una perfetta fusione di jazz e rap venata di elettronica, che in questo album conquista uno spazio ancora più rilevante. “Notturno”, prodotto da Tommaso Colliva, che torna a collaborare con la formazione milanese dopo il precedente disco “WadiruM”, chiama a sé diversi ospiti in questo caso non accomunati sempre da un sound, ma da uno stesso approccio, autentico, all’arte.
L’album, più immediato, diretto e fresco dei precedenti, è impreziosito dalle collaborazioni con Fabrizio Bosso, Willie Peyote, Riccardo Sala, l’attrice Valeria Perdonò, Rodrigo D’Erasmo e Mezzosangue: artisti a cui la band è legata da stima reciproca, e che si armonizzano nella poliedricità dei mondi artistici di riferimento del gruppo. A loro si aggiunge 24kili: un rapper misterioso che è il riflesso più cruento della società in cui vive. Sempre come “To Pimp a Butterfly”, “Notturno” è un disco rap, ma non lo è secondo i canoni classici, è un progetto alieno che come una navicella cattura tanti protagonisti e li ingloba magicamente. “Le tematiche che affrontiamo nel disco sono molto personali e focalizzate sul percorso che ognuno di noi sta intraprendendo, sono argomenti che ci hanno coinvolto in prima persona in tutto questo tempo e abbiamo avuto modo di viverli sia come singole individualità sia come gruppo compatto. Tutto questo ci ha tenuto così tanto vicini e connessi da diventare l’humus da cui plasmare il nostro terzo racconto assieme - racconta la band – il periodo che racchiude è stato, per tutti noi sei, un tempo di cambiamenti radicali e di crescita. Quindi la notte diventa lo spazio in cui dimorare per riflettere meglio su cosa è stato il giorno precedente e su cosa vorremmo trovare in quello successivo”.
L’album si apre con “Another Day with Another Sun”, che prende il titolo da un’installazione dell’artista Philippe Parreno sul movimento del sole dall'alba al tramonto: proprio quel tempo in cui si muove “Notturno”. “Baba Jaga” racconta di un vortice tra amore e droga ed è nata da un’improvvisazione piano elettrico-flauto. In “Nostalgia” la tromba di Fabrizio Bosso incornicia parole lancinanti e malinconiche, e dentro c'è anche “Domani è un altro giorno”, un tributo a Ornella Vanoni. In “Tunnel” l'MC della band Carma e Willie Peyote dipingono una città e i suoi volti. “Vienna” immortala un amore intenso e a volte brutale e cita anche Franco Battiato. Quello di "Tre porte di paura” è invece un dialogo tra la psicologa interpretata da Valeria Perdonò e il suo paziente, che le racconta le proprie paure e sensi di colpa attraverso tre incubi ricorrenti. Primo brano scritto per il disco, nasce da una jam di improvvisazione su un frammento di “Evidence” del pianista jazz Thelonious Monk e gioca con silenzi, frasi spezzate e armonie dissonanti. Tra le rime combattenti di “Oskar Kokoshka” svetta il sax di Riccardo Sala ad aggiungere un ingrediente free jazz. Gli archi di Rodrigo D’Erasmo puntellano la riflessione di “Vai via” sulle difficoltà di una relazione, dove non esiste un solo modo per amarsi, mentre in “Fuori luogo” Mezzosangue si unisce alla band in un tuffo riflessivo sul proprio percorso personale. Quell’orgoglio di rimanere fedeli a se stessi che risuona anche nell’ultima traccia dell’album, “Jazzhighlanders”. È una vera e propria rivendicazione dell’importanza di essere coerenti rifiutando di aderire a un’immagine.