Il Barezzi Festival è diventato maggiorenne, tornando per la 18esima volta a portare a Parma la musica internazionale.
Il Barezzi si conferma una rarità nel panorama italiano. In primis perché si tiene nei luoghi storici di Parma, una città che non inizia per M o R, e che solitamente si associa alla lirica, a Verdi e al buon cibo. Durante queste tre giornate, invece, Parma cambia pelle e ospita artisti internazionali tra i più interessanti in circolazione. Siamo stati alla seconda delle tre giornate di festival, ed ecco com’è andata.
Zsela
Si inizia alle 18 con Zsela all’Auditorium del Carmine. Cantautrice newyorkese classe ’95, di base a Los Angeles, Zsela è un concentrato di contemporaneità, che incarna perfettamente il melting pot dell’underground americano (e si sa, nella musica pop le cose iniziano sempre da lì).
Sola sul palco, Zsela ha un’aura che riempie tutto l’Auditorium. Carismatica ma anche emotiva, a tratti fragile, come la sua musica. Non a caso il New York Times l’ha definita "terrena e ultraterrena".
La performance di Zsela spazia da momenti a cappella, parti in stile spoken word, sussurri e canto a piena voce. Le produzioni musicali sono di altissimo livello, e miscelano perfettamente R&B, soul, country ed elettronica per dare vita a qualcosa di nuovo.
L’album d’esordio "Big for you" è infatti prodotto insieme a Daniel Aged, collaboratore di Frank Ocean, oltre che di Rosalia, FKA Twigs e altri. E si sente. Lo stile minimale si alterna a veri e propri muri di suono che, insieme alla sua vocalità profonda, colpiscono come un pugno allo stomaco.
Nel disco, e nel live, manca la traccia mainstream - seppur ci siano brani di forte impatto come "Fire Escape" e "Not your angel" - che le permetterebbe forse di allargare il proprio pubblico e diventare una next big thing. Ma permettetemi di dirlo, questa retorica del "salto", del fare musica per tutti, a tutti i costi, ha stancato e spesso non trova i risultati sperati.
L’atmosfera suggestiva è acuita dalla venue, una chiesa sconsacrata del 1200 ristrutturata appositamente per la musica (è, infatti, parte del complesso del Conservatorio Arrigo Boito). Questa è la prima delle cose che colpiscono del Barezzi: il festival ti porta in luoghi suggestivi, insoliti per questo tipo di musica, dove l’ascolto diventa un’esperienza immersiva, in questo caso quasi mistica, creando una connessione profonda tra l’artista e il pubblico.
JOSÉ GONZÁLEZ
Discorso simile vale per il Teatro Regio, teatro d’opera dell’ottocento in tipico stile italiano, dove ci spostiamo per ascoltare José González.
Il Teatro è pieno e accoglie calorosamente l’artista, svedese ma figlio di genitori argentini, il che spiega, oltre al nome, le canzoni in diverse lingue (inglese, spagnolo, svedese).
Arriva a Parma per la sua unica data italiana, anche lui solo, o meglio con le sue chitarre, con le quali sembra avere un rapporto vitale: sembra che ci parli, e sul palco, da subito, si ha l’impressione che ci siano almeno 2 o 3 musicisti. Sfrutta appieno la polifonia dello strumento e ci canta sopra senza alcuna difficoltà.
Ripercorre il suo repertorio ed emergono gli album “Local Valley” del 2021, “Vestiges & Claws” del 2015 e “Veneer” del 2003, riproposto nel 2023 in versione deluxe. José manifesta da subito quella che deve essere una parola chiave legata alla sua musica: nostalgia. Lo dice lui stesso, ridendo, “vi parlerò di nostalgia con i prossimi brani”.
Il suo è un virtuosismo elaborato, ma allo stesso tempo melodico, che non si dilunga mai e riproduce tessiture di accordi e armonie mai banali. Il rimando a Nick Drake è frequente, ma dentro il suo suono c’è tanto altro e spazia tra regioni diverse del mondo.
Il pubblico è caldo, lo applaude entusiasta, molto, al punto da costringerlo a uscire altre due volte dopo la fine del concerto e concedere ben 6 bis, tra cui spiccano le cover, riuscitissime, di “Teardrop” dei Massive Attack e “Blackbird” dei Beatles.
È chiaro a tutti che siamo di fronte a un fuoriclasse, e che stiamo ascoltando qualcosa che in pochi sarebbero in grado di fare.
MARTA DEL GRANDI
La giornata del Barezzi si conclude con il concerto di Marta Del Grandi al Borgo Santa Brigida, un piccolo club incastrato tra i vicoli di Parma. Marta Del Grandi ci incanta con il suo ultimo album "Selva", disco acclamato dalla critica e candidato alle Targhe Tenco 2024 come Miglior Opera Prima. Marta è in tour dall’uscita del disco e ha superato le 70 date, in Italia e all’estero: “crazy!”, dice lei.
Quello che colpisce, anche dal vivo, è la sua libertà, libertà compositiva, vocale, scenica. Tutto suona spontaneo, e i brani, eseguiti in trio con batteria e tastiere/synth/violino, si susseguono come in un ispirato flusso di coscienza. Lei, chitarra e voce, è ipnotica.
È una musica, e un’artista, difficile da definire - c’è del jazz, dello sperimentalismo, del cantautorato sofisticato, del baroque pop. Marta Del Grandi è la prova che si può fare musica - davvero - alternativa, e persino internazionale, in Italia. E che è possibile che le persone la ascoltino, i giornalisti ne scrivano, e che il pubblico vada ai concerti.
Abbiamo visto tanti artisti giovani abbandonare progetti decisamente interessanti in inglese per buttarsi sull’italiano (forse spesso malconsigliati) per la retorica del farcela, dell’arrivare alla massa, del fare il salto. Ma come dicevamo prima, questa retorica ha stancato, e artisti come Marta Del Grandi vanno preservati all’interno del panorama musicale italiano.
Che poi decida di cantare in inglese, in italiano o in qualsiasi altra lingua, finchè manterrà la sincerità e la voglia di ricerca e di espressione che la contraddistingue, sono sicura ci riserverà grandi sorprese.
Abbiamo sentito tre concerti diversi, immersi in tre location diverse, nello stesso giorno. Due artisti internazionali che dall’Italia non passano spesso, anzi. La terza un’artista italiana, ma senza frontiere.
Artisti di altissimo livello che meritano di essere visti, anche se non li conoscete, pure se non è il vostro genere. Ed è a questo che servono i festival.
Barezzi è il festival, in Italia, che può veramente dare l’esperienza di ascolto che qualunque appassionato di musica desidera.