All’inizio del concerto, nel video che viene mostrato sugli schermi del Palazzo dello Sport, Emma è un fantasma che partecipa al proprio funerale. Spesso, parlando delle fisiologiche depressioni che possono far traballare le carriere degli artisti, “morte” è una di quelle parole forti che vengono (ab)usate, dimenticandosi del peso che certi termini possono avere. Autoironica com’è, la popstar salentina qui ci gioca, ridendoci su: lo fa da sopravvissuta di un’era che oggi sembra appartenere al paleolitico della discografia italiana, quella del pop televisivo degli Anni Duemiladieci, che dopo essersi scrollata di dosso l’ingombrante etichetta di “ex talent” - lei che, va detto, nella scuola più popolare d’Italia, quella di “Amici”, era arrivata nel 2009 dopo la lunga gavetta fatta insieme ai Mjur: “Salivamo sul palco con la vernice sul volto, eravamo inascoltabili. A Torino incidevamo per la stessa etichetta dei Linea 77, condividevo i camerini con i Tre Allegri Ragazzi Morti” - ha dovuto fare necessariamente i conti con i grandi cambiamenti del mercato. Nel 2018 andò in tv, proprio ad “Amici”, lì dove la sua carriera era partita, ad ammettere che sì, “il mio album non ha raggiunto i numeri che tutti si aspettavano”. “Essere qui”, uscito l’anno precedente, aveva riscosso un successo al di sotto le aspettative, tanto che al tour successivo qualche seggiolino nei palasport restò vuoto. Cinque anni dopo, Emma torna “In da Town”, per citare il titolo della serie di show inaugurata lunedì al Forum di Assago a Milano, ovvero a “riprendersi” le arene: segno che la giostra ha ripreso a girare con grande velocità
E un giro su una giostra è del resto anche il concerto, un ottovolante con il quale la voce di “Amami” ripercorre questi primi quindici anni di carriera, tra alti e bassi, momenti sì e momenti no, Dischi di platino e anche canzoni che lì per lì sono passate inosservate ma che nella sua fanbase hanno lasciato in un modo o nell’altro un segno profondo. E svolte, soprattutto. Tante. “Iniziamo dalla fine”, canta davanti a 7.500 del pubblico romano nell’omonima canzone, tra le prime in scaletta, una di quelle contenute nell’ultimo album “Souvenir”. Ed è proprio dalla fine che comincia, quando su “Pretaporter” si presenta sul palco in pelliccia e cappellino con visiera, da diva urban, e come una trapper di provincia canta: “Dal paese sognavi New York / tra due chiese ed un bar con qualche diavolo / e cercavi una scala per salire in alto e svoltare domani”. Non è esattamente la Emma che ad “Amici” cantava “Davvero” e “Calore”, non è neppure quella del Sanremo di “Non è l’inferno” o quella di “Amami” e di “Io sono bella”. Ma anche se può sembrare strano ai fan della prima ora, quel tipo di narrazione le appartiene: anche lei partì dalla provincia - quella di Aradeo, vicino Lecce - alla ricerca di una svolta e la trovò. Forse è quel tipo di ambizione che aveva lei agli esordi, ancor prima del successo, che la lega ai vari Tony Effe, Lazza, Fabri Fibra, Bresh e Baby Gang, con il quale ha appena pubblicato “Hangover”, contenuta nella riedizione di “Souvenir”, tutti esponenti del mondo urban con i quali ha collaborato in questi mesi, disorientando.
“Sono ripartita da zero. Ho resettato tutto. Mi sono liberata di certe zavorre. Alla fine dal basso si può sempre risalire”, dice, riprendendo fiato tra la stessa “Iniziamo dalla fine”, “Lacrime” e “Centomila”. È una masterclass pop. Cambiare pelle è stato un modo per restare attuale, per uscire fuori dalla propria zona di comfort. Altri che hanno provato un’operazione simile hanno finito per snaturarsi e per sembrare in qualche modo patetici. A lei va riconosciuto quantomeno il merito di averlo fatto sempre con orgoglio e dignità, mantenendo una sua cifra stilistica. Quella che fa venire fuori in pezzi di repertorio come “L’amore non mi basta”, la stessa “Amami”, quella “La mia città” che portò in gara all’Eurovision nel 2014 e che oggi si diverte a ricantare con più sobrietà. E poi “Resta ancora un po’” e “Mi parli piano”, valorizzate dalla band composta da Lucio Enrico Fasino (basso), Donald Renda (batteria), Raffaele Rufio Littorio (chitarre - “Mi ricordo di quando io e te suonavamo nei bar di provincia e ci dicevamo: ‘Chissà se ce la faremo, un giorno’”, sorride Emma), Christian Rigano (tastiere), ai quali si aggiungono anche le coriste Elisabetta Pia Ferrari e Tahnee Rodriguez. “In questo show ho messo tutta me stessa”, dice lei. Non è una frase fatta: in due ore di show spazia senza soluzione di continuità dalla ballate degli esordi come “Sarò libera” e “Trattengo il fiato” al pop-rock di “Cercavo amore” e “Io sono bella”, fino ad arrivare all’elettronica di “Vita lenta”. Il tutto tra coreografie e cambi d’abito, in uno show da popstar.
A far partire i titoli di coda non ci pensa una hit del passato, ma quella “Taxi sulla luna” sulla quale è riuscita a lasciare la sua impronta, duettando con Tony Effe. Emma tira fuori dalla tasca degli occhiali da sole da trapper, li indossa e guardando la telecamera sorride: “Adesso sono pronta, direi”. Poi arrivano la nuova versione di “In Italia” di Fabri Fibra (in quella originale c’era Gianna Nannini, stavolta il rapper marchigiano ha scelto lei), “Femme fatale” e “Apnea”, tutte cantate a squarciagola dal pubblico: il fatto che l’apice dello show sia affidato a pezzi usciti non dieci anni fa, ma nell’arco degli ultimi dodici mesi, per una star con quindici anni di attività discografica alle spalle è oggettivamente una notizia.