In vista della prossima edizione della Milano Music Week, in programma nel capoluogo lombardo tra i prossimi 18 e 24 novembre, NUOVOIMAIE - tra i promotori della manifestazione - propone una serie di incontri con protagonisti del panorama musicale italiano non solo per approfondire le dinamiche artistiche che caratterizzano il lavoro di chi opera nel settore, ma anche per fare il punto su come gli attuali scenari del mercato impattino sulle opportunità professionali di chi ha scelto la creatività come professione. La parola, oggi, va ad Arya...
Magari abbiamo la sensazione di non averla mai sentita nominare, ma la verità è che la voce di Arya Delgado (più nota semplicemente come Arya) la conosciamo tutti: è quella dell'intro di "Cenere" di Lazza, per intenderci. E più di recente si è anche rivelata una delle voci più singolari di X Factor, a cui ha partecipato fino alle fasi dei bootcamp con la sua band A Flower Tide. Italo-venezuelana, 29 anni, è una cantante e autrice poliedrica e sofisticata, senz'altro tra le emergenti più interessanti del panorama attuale: da solista ha un repertorio che attinge a piene mani dalla black music, un genere che piace sempre di più alla Gen-Z e che potrebbe essere il prossimo a esplodere su larga scala anche da noi.
Da dove nasce la tua passione per la musica?
È sempre stata parte della mia vita: mio padre è un cantante di salsa. Rispetto ad altri artisti che conosco e che hanno sviluppato fin da molto piccoli una propensione a scrivere, però, per me la spinta a fare pezzi originali è arrivata un po' più tardi, perché ho iniziato a lavorare al mio progetto solista solo nel 2019.
Ti sei subito fatta notare per la tua vena spiccatamente R&B, un genere musicale che fino a qualche anno fa era poco diffuso tra gli artisti italiani.
Rispetto all'inglese, la lingua italiana sicuramente è più difficile da applicare a ritmiche, metriche e melodie neo soul e R&B. Oggi finalmente sono in tanti a farlo, qualche spiraglio in più si è aperto, ma il rischio è quello di fare una sorta di traduzione dell'R&B americano o inglese, perché ancora esistono pochi esempi di riferimento in italiano e quindi è molto più difficile trovare una propria chiave di lettura.
Però in molti sembrano disposti a provarci: oggi c'è una scena R&B italiana piuttosto fiorente, no?
Assolutamente, molti artisti lo inglobano nelle loro produzioni e anche il pubblico è cresciuto moltissimo. Non essendo un genere mainstream, poi, possiamo senz'altro prenderci delle libertà maggiori nello sperimentare nuove vie. È uno dei principali lati positivi di essere ancora una scena relativamente di nicchia.
Oltre al tuo progetto solista fai parte anche di una band molto apprezzata dai cultori della musica più ricercata, A Flower Tide.
Per me è sempre stata una grande una valvola di sfogo, nel senso che lì incanalo tutte le ispirazioni e le influenze che magari avrebbero meno spazio all'interno dei miei brani solisti. Tutto nasce da una lunga serie di improvvisazioni basate su un tamburo giapponese tradizionale, il taiko, quindi un elemento ritmico molto forte. Da lì abbiamo sviluppato un sound che inglobava anche sonorità più elettroniche, fino ad arrivare a performance come quelle che avete visto a X Factor. Per qualcuno può essere una cosa dispersiva portare avanti due progetti in parallelo, ma per me ha tutto molto senso, perché mi permette di sviluppare idee che da sola non avrei.
Spesso si ha la sensazione che nel nostro mercato tutto ciò che è insolito, sofisticato e particolare sia considerato con un po' di scetticismo dagli addetti ai lavori. Tu come la vedi?
Tutto dev'essere incasellabile: lo vedo anche con i miei ultimi brani solisti, che non sono prettamente R&B o neo soul e che per questo motivo faticano a trovare una collocazione. Forse, però, è un'esigenza soprattutto di chi in questo ambiente ci lavora: i discografici, i magazine, i curatori delle playlist... L'ascoltatore probabilmente non è interessato a queste cose, se gli piace un pezzo non si fa troppi problemi sul genere o sullo stile. Vale la stessa cosa per i paragoni: spesso mi capita di leggere articoli su di me in cui mi si definisce magari “la nuova Arlo Parks” e simili e, al di là del fatto che ovviamente mi sento lusingata, trovo un po' forzato il fatto di dover per forza cercare di accomunare gli artisti emergenti a quelli che già ci sono, per renderli comprensibili. Anche perché poi una poi inizia anche a farsi problemi e a chiedersi: “Ma se nessuno riesce a descrivere ciò che faccio, dovrei mettermi a fare qualcosa di più intelligibile per avere speranza di essere capita?”.
Tornando a A Flower Tide, com'è andata l'esperienza a X Factor?
Già l'anno precedente un talent scout mi aveva contattata per partecipare alle preaudizioni, ma il fatto che facessi R&B era stata vista come una variabile negativa e mi avevano scartata. Quando nel 2024 ci hanno cercati per la band, che fino ad oggi è sempre stata molto impostata sulla produzione e ha viaggiato soprattutto in contesti più artistici come mostre ed eventi speciali, abbiamo deciso di provare, convinti che però non sarebbe andata. Siamo arrivati alla preaduzione in modalità riot, senza seguire minimamente le indicazioni che ci avevano dato (ovvero di portare una cover e non un inedito, ma noi di cover non ne avevamo mai fatte). Eravamo sicuri che fosse andata male, e invece... Non avevamo aspettative, comunque: per noi era l'importante era suonare bene, e così è stato. Quando siamo usciti ai bootcamp, per giudizi più che legittimi e personali, non ce la siamo presa assolutamente, anzi: con il senno di poi siamo stati contenti della vetrina, ma riconosciamo che quello televisivo non era un ambiente adatto a noi.
In questi anni hai fatto anche la corista in numerosi tour importanti, ad esempio per Ghemon, Venerus e Mahmood...
Senz'altro è un'esperienza da cui si impara tanto: il bello secondo me è proprio che non sei tu in prima fila, quindi anche a livello di ansia di prestazione è tutto molto diverso, ti permette di vivertela in maniera molto più rilassata e sentendoti parte di una squadra. Non so se però in futuro mi ricapiterà di farlo, però, perché ovviamente è anche un'esperienza molto impegnativa a livello di tempo.
Rispetto alla gestione dei tuoi diritti (sia come cantautrice che come interprete) come ti sembra che la situazione attuale?
Io collaboro con poche persone, e sono quasi sempre le stesse, il che è un vantaggio. Quando però mi è capitato di fare session con molti altri musicisti, mi sono posta il problema: io sono un'artista indipendente, non c'è nessuno che si occupa per me della parte di gestione. È sempre un navigare a vista, sai più o meno qual è la prassi, ma non sai mai se c'è una regola, e di conseguenza non sai neanche se stai ottenendo davvero tutto ciò che ti spetterebbe. Molti artisti sono un po' ingenui e si occupano soprattutto di lavorare in studio ed esibirsi sul palco, senza interessarsi di queste cose: spesso mi capita di parlare con colleghi più giovani che non sono iscritti a nessuna collecting e magari non sanno neanche che esistono, e mi chiedono aiuto per capire come funziona la retribuzione del lavoro in studio o la tutela della propria opera.
Tornando alla musica, infine: cosa ti riserva il futuro?
Ho finalmente quasi chiuso il disco. Il dubbio amletico è sempre come diffonderlo al meglio. E' difficile interfacciarsi con realtà più strutturate, perché come dicevamo hanno sempre la sensazione che dentro ci sia “troppo”: troppi stili diversi, troppi generi... Prima o poi arriverò a capire se è meglio fare da sé ed essere completamente liberi, ma soli, oppure se è meglio appoggiarsi a qualcun altro con le spalle più larghe, ma scendere inevitabilmente a compromessi. Vedremo.