Brani come “There’s one thing” e “New born”, in effetti, sembrano trasmettere un senso di irrequietezza, la volontà di scappare dal minuscolo paese natale (un villaggio chiamato Langevaag) alla ricerca di nuovi orizzonti. “Sì, è così. Quelle canzoni raccontano di viaggi e di cambiamenti, visti in una luce positiva. Quando le ho scritte vivevo già in città, a Bergen, la mia ragazza mi aveva lasciato e gli amici se ne erano andati altrove… Sono i cicli della vita, cose che ti succedono quando hai diciotto anni”. Ad ascoltarle, fanno venire in mente McCartney o gli Smiths. Curioso venire a sapere che Post ha cominciato a suonare imitando i Kiss e che Frank Zappa è una delle sue principali fonti di ispirazione: “Beh, i Kiss sono storia vecchia, un amore adolescenziale. Anche se i Beatles, soprattutto quelli di ‘Abbey road’ e degli ultimi anni di vita, sono il mio gruppo preferito di tutti i tempi ho sempre ammirato Zappa per il suo modo di comporre e di arrangiare musica. Lo considero un grandissimo artista, capace di manipolare ogni genere musicale. Ho cercato di ispirarmi a lui per fare un passo oltre la pop music e il cantautorato classico, in termini musicali. Non mi va di essere etichettato come un ragazzo che canta canzoni tristi accompagnandosi alla chitarra, anche se è proprio con la chitarra o al pianoforte che ho scritto tutte le canzoni di questo disco: quando funzionano così, vuol dire che sono venute bene”. E da dove arriva quella spiccata sensibilità pop che molti artisti e gruppi del Nord Europa sembrano possedere? “Siamo molto influenzati dal pop inglese, ovviamente” riflette Robert, che ora vive a Londra. “Ma anche la musica folk norvegese è ricca di belle melodie. Io ho sempre cercato di mischiarla con la cultura pop moderna, credo che per un mio conterraneo sia facile sentire quell’aroma nella mia musica”. Non disdegna la musica più recente, comunque: “Non capita spesso, ma più o meno ogni due anni mi infatuo per qualcosa di nuovo. E’ successo la prima volta con Jeff Buckley, poi con Hawskley Workman, un cantautore canadese, e ultimamente con Rufus Wainwright, che sa fare tutto: scrivere, cantare, interpretare. Ma mi piacciono molto anche i Sigur Ros e i Radiohead, apprezzo la loro continua volontà di cambiare”. Un indizio per il prossimo album? “Mah, credo che le fondamenta saranno le stesse, canzoni melodiche scritte alla chitarra o al pianoforte. La band e la produzione, però, potrebbero anche essere differenti. Spero, una volta che avrò cinque album alle spalle, di potermi guardare indietro e rendermi conto che c’è stata un’evoluzione, un cambiamento. Altrimenti sarebbe tutto troppo noioso”.
In studio di registrazione la casa discografica di Post, la Mercury, gli ha messo a fianco un produttore esperto come Mike Hedges (Cure, Manic Street Preachers). Ma Robert assicura di non esserne stato in alcun modo snaturato. “Ho le idee chiare circa la musica che voglio fare e sono pronto a lottare con tutto me stesso per farle rispettare. Con Mike non ce n’è stato bisogno, lui mi ha semplicemente incoraggiato a essere spontaneo e creativo in studio. Mi ha anche suggerito idee preziose per gli arrangiamenti, consigliandomi ad esempio dove inserire archi od ottoni. Abbiamo registrato molto velocemente le tracce base, ma in studio ho anche completato la scrittura di certe canzoni incompiute e abbiamo trascorso molto tempo a mixare”. Al momento del primo ascolto in playback, ricorda Robert, “ho avuto reazioni contrastanti. Ero molto orgoglioso di quel che avevamo realizzato, dieci canzoni che funzionano bene una di seguito all’altra. Ma riascoltare certi pezzi più personali ed emotivi avendo gente intorno mi ha imbarazzato, soprattutto se si trattava dei miei familiari o degli amici più stretti. Ho dovuto abbandonare la stanza… A volte è difficile anche cantarli dal vivo, se la gente chiacchiera e fa rumore invece di ascoltarti. Per fortuna nei tour che ho fatto finora l’accoglienza è stata ottima ed è andato tutto bene: ho aperto concerti dei Texas e di Natalie Imbruglia, davanti a gente di diversa età e che teoricamente c’entra poco con il mio genere di musica. Mi hanno applaudito e sostenuto, e ne sono stato molto contento”. A guardare la coloratissima copertina del suo album, piena zeppa di giocattoli e di animaletti di peluche, vien da pensare che per Post la musica sia tuttora una specie di parco giochi… “E’ così, in effetti. Non l’ho mai vista come un lavoro, anche se la prendo molto seriamente non voglio diventare serioso. Ci tengo a fare le cose per bene, ma alla fine quel che conta è divertirsi. L’orca distesa sul prato verde, in copertina, serve ad aggiungere un tocco di surrealismo. Volevo dare un’immagine diversa da quella del classico cantautore, e poi le orche sono animali intelligenti che mi hanno sempre affascinato. Le ho viste da vicino, crescendo sulla costa norvegese”.
Messo sotto contratto da un discografico inglese che aveva portato all’aeroporto a bordo del suo taxi nel periodo in cui doveva inventarsi altri lavori per guadagnarsi da vivere (“sapevo chi era, e per questo gli feci ascoltare la mia musica in macchina. Si mostrò interessato, tornò per vedermi suonare dal vivo e quattro mesi dopo il contratto era firmato”), Post giura di non sentirsi sotto pressione ora che è stato ingaggiato dalla più grande casa discografica del mondo, la Universal: “Ho imparato a fidarmi di me stesso e delle persone che frequento abitualmente. Se hanno investito così tanto tempo e denaro su di me è perché mi volevano così come sono. L’unica cosa che posso continuare a fare è essere me stesso”. Magari coltivando qualche sogno nel cassetto… “Vorrei fare un disco con Karin Park, la cantautrice svedese che ha cantato sull’album e con cui spesso mi sono esibito dal vivo. Mi piacerebbe farmi produrre un disco da Nigel Godrich, collaborare con Billy Corgan e con Aimee Mann. E con Paul McCartney, ma questo è il sogno di chiunque…”.