Katy Perry: diario di una faticosa rinascita

Flop, polemiche, gossip, scivoloni, premi di consolazione: con "143" Katy Perry si gioca tutto.

“Tornerò, ma lasciatemi fare le cose per bene”: è l’agosto del 2023 quando Katy Perry conferma alle telecamere di “Good morning America”, rotocalco tra i più seguiti della tv statunitense, di essere al lavoro su nuovo materiale. Quando rilascia quell’intervista, la popstar statunitense è alle prese con le ultime date della sua residency al Resorts World Theatre di Winchester, in Nevada, da ottanta show e 46,4 milioni di dollari di incassi. Non pubblica un album di inediti da tre anni, tanti quanti ne sono trascorsi dall’uscita di “Smile”, il suo disco meno fortunato, sparito dalle classifiche americane nel giro di un mese. Non che il precedente “Witness”, datato 2017, avesse avuto più successo, ma quantomeno era riuscito nell’impresa di conquistare all’esordio la vetta della Billboard 200, la classifica settimanale dei dischi più venduti negli Usa, proseguendo una tradizione cominciata con “Teenage dream” nel 2010 e proseguita con “Prism” nel 2013, l’ultimo album della voce di “I kissed a girl” a potersi considerare un best-seller. Le carriere sono fatte di corsi e ricorsi, ma a 38 anni la star di Santa Barbara sa bene che con il disco al quale sta lavorando si giocherà la permanenza nella Champions League del pop mondiale. E non può permettersi di sbagliare. Un anno - e un mese - dopo, l’album è pronto per arrivare nei negozi e sulle piattaforme di streaming: “143”, titolo che a che fare con un numero che Perry considera fortunato, uiscirà allo scoccare della mezzanotte di domani, venerdì 20 settembre. È un disco che ha una missione: rilanciare una delle cantanti più premiate e certificate del pop mondiale. Ma le possibilità che riesca a farlo sono poche.

C'era una volta una popstar che non sbagliava mezza hit

Già, perché i mesi che hanno preceduto l’uscita di “143” sono stati il diario di una delle rinascite più faticose della storia del pop. Come si può passare da una serie di cinque singoli finiti consecutivamente al primo posto della classifica americana - “California gurls”, “Teenage dream”, “Firework”, “E.T.” e “Last friday night (T.G.I.F.)” - allo sprofondo rosso dei resoconti delle vendite degli ultimi due dischi? Lontani i tempi in cui nel backstage del Coachella, era il 2019, Katy Perry prendeva da parte l’allora astro nascente del pop Billie Eilish e le dava consigli su come muoversi nella discografia (la scena, per chi se la fosse persa, è contenuta nel docu-film del 2021 “The World’s A Little Blurry”, sull’ascesa della Eilish): oggi le parti si sono invertite. Forse l’errore di Katy Perry è stato quello di non capire per tempo che il mercato discografico, e l’industria in generale, stavano cambiando, e che forse era meglio reinventarsi (cosa che invece ha capito l’eterna rivale Lady Gaga, camaleontica per sua natura e abilissima a costruirsi una carriera nello spettacolo parallela a quella discografica). Katheryn Elizabeth Hudson, questo il vero nome della cantante, ha continuato testardamente a proporre quel pop festaiolo che negli Anni Duemiladieci le ha fatto vendere 180 milioni di copie a livello mondiale, senza uscire dalla sua comfort zone. Il grosso del lavoro di produzione di “143”, per dire, lo ha affidato a Max Martin e Dr. Luke: sono gli stessi produttori con i quali registrò nel 2008 l’album d’esordio “One of the boys”, quello di “I kissed a girl” e “Hot n cold”. Non proprio una scelta al passo coi tempi.

Critiche e polemiche: il flop di "Woman's World"

“Woman’s World”, il singolo apripista di “143”, è stato un disastro. Uscito lo scorso 11 luglio, il brano ha esposto Katy Perry a numerose critiche, legate soprattutto alla scelta di tornare a lavorare con Dr. Luke, il 50enne produttore trascinato nel 2016 in tribunale dalla cantante statunitense Kesha con l’accusa di aver abusato sessualmente di lei, che nonostante sia stato sollevato dalle accuse continua ad essere guardato con sospetto da parte dell’industria anche per via della grande mobilitazione pro Kesha (difesa pure da Lady Gaga). Peraltro in un pezzo, tra bugglegum pop e dance pop, presentato come un inno all’emancipazione femminile: uno scivolone. Ma pubblico e critica hanno contestato a Perry anche le scelte musicali, considerate un po’ polverose, e la presunzione di ripresentarsi sul mercato nel 2024 con i suoni che andavano di moda dieci anni fa. Laura Piton, la critica musicale del Guardian, ci è andata giù pesantissimo, recensendo il singolo assegnando una sola stella su cinque. Ha definito il singolo “garbage”, “immondizia”, senza troppi giri di parole: “La sensazione - ha scritto - è quella di avere di fronte una popstar degli Anni Duemiladieci che ora si trova molto in difficoltà”. Morale: il brano ha debuttato al 63esimo posto della classifica settimanale di Billboard dei singoli più scaricati e streammati negli Usa, salvo poi sparire la settimana successiva. Katy Perry ha radunato subito i suoi più stretti collaboratori, per provare ad aggiustare il tiro e non rischiare di fare il definitivo buco nell’acqua in vista dell’uscita di “143”.

"Lifetimes" manca clamorosamente la top 100 negli Usa

Così l’8 agosto, neanche un mese dopo “Woman’s World”, è uscito “Lifetimes”, un altro singolo, stavolta dalle tinte più house. Indovinate un po’ chi l’ha prodotto? Esatto, Dr. Luke. Il brano è stato accompagnato da un video che Katy Perry ha girato sulle isole Baleari, in Spagna, guidando una barca al largo della costa di Ibiza, sfrecciando sul retro di una moto a Formentera e scatenandosi in bikini su una spiaggia. Il 13 agosto le autorità delle isole Baleari aprono un’indagine nei confronti della popstar, accusata di aver filmato senza autorizzazione il video della sua canzone in una zona ecologicamente sensibile. L’etichetta di Perry, Capitol Records, si tira indietro da qualunque responsabilità: "La società di produzione video locale ci ha assicurato che tutti i permessi necessari per il video erano stati ottenuti", dichiara un portavoce. Il putiferio non aiuta il singolo ad avere una grande performance commerciale: “Lifetimes” manca clamorosamente il piazzamento tra le prime cento posizioni dei singoli più scaricati e ascoltati della settimana negli States. Non compare mai in classifica. Nel frattempo, Perry difende la scelta di essere tornata a lavorare con Dr. Luke. In un’intervista ai microfoni del podcast Call Her Daddy, la popstar dice: “Capisco che questa scelta abbia dato il via a molti dibattiti, è stato uno dei tanti collaboratori con cui ho lavorato. Parlo per esperienza personale. La verità è che ho scritto queste canzoni sulla base della mia esperienza di tutta la mia vita passata attraverso questa metamorfosi, e lui è stato una delle persone che ha contribuito a facilitare tutto questo”. Nella stessa intervista si lascia andare a dichiarazioni piccanti sul compagno Orlando Bloom, padre della figlia Daisy, nata nel 2020, raccontando di premiarlo per la cura della casa con del sesso orale: “Se scendo e la cucina è pulita, e tu hai fatto tutto, e hai lavato tutti i piatti, e hai chiuso tutte le porte della dispensa, sarà meglio che tu sia pronto a farti succhiare il c***o”. 


Ai VMAs, sì. Ma per ricevere un premio alla carriera

Il 15 agosto viene annunciato che Katy Perry riceverà il premio Video Vanguard Award agli MTV Video Music Awards, tra i premi più importanti del music biz e tra le vetrine promozionali più ambite. Non solo: è in programma anche una sua esibizione per festeggiare l’impatto che ha avuto sul pop degli ultimi vent’anni, lo stesso che ha spinto gli organizzatori a celebrarla con un premio alla carriera (premio che i fan di Lady Gaga avevano chiesto via social che fosse assegnato a Miss Germanotta). L’11 settembre Katy Perry si presenta dunque alla Usb Arena di Long Island, a New York, accompagnata da Bloom. Lei che un tempo faceva incetta di nomination e premi con le sue hit (da quello come Video of the Year vinto nel 2011 con “Firework” a quello come “Best Female Video” vinto nel 2014 con “Dark Horse”), stavolta si deve accontentare di due riconoscimenti "ad honorem", ma utili alla causa del riposizionamento sulle scene: oltre al Video Vanguard Award si porta a casa anche la Most Iconic Performance della storia dei VMAs con “Roar”. La popstar porta in scena una performance che tra voli, ballerini ed effetti speciali la vede ripercorrere sul palco la sua carriera. Durante la sua esibizione Perry fa ascoltare anche l’inedita “I’m his, he’s mine”, terzo singolo in tre mesi, in duetto con la rapper americana Doechii. La "143" era di Katy Perry può avere inizio.

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