Nel settembre del 2004, vent’anni fa, usciva un disco che ha cambiato la storia del rap italiano: “Mr. Simpatia” di Fabri Fibra. Un album corrosivo, con un linguaggio disturbante e scomodo che Fibra scrisse in un momento buio della sua vita in cui non aveva più nulla da perdere. Era frustrato, lavorava in una fabbrica in Inghilterra, una larga parte della scena rap era estremamente auto-referenziale e nel raccontare il proprio disagio è riuscito a fotografare quello di una generazione ai margini. Un’istantanea tutt’altro che sbiadita. E lo ha fatto, grazie a un gioco di specchi, con uno stratagemma geniale: diventando un altro. “Mr. Simpatia”: un Joker.
Non è un caso che il disco arrivi dopo la visione, da parte di Fibra, del film “Il talento di Mr. Ripley”, una pellicola sulle false identità utili a raggiungere, a tutti i costi, anche spargendo del sangue, un obiettivo. Quello di Fibra, ovviamente, era cercare di riscattarsi, di sfogarsi come mai aveva fatto prima, di rompere il muro che lo separava da un’affermazione personale e professionale. Il disco, infatti, proprio come suggerisce la copertina splatter, ancora oggi sembra una pistola puntata alla testa dello stesso rapper, come Travis, lo schizzato protagonista della pellicola “Taxi Driver” interpretata da Robert De Niro, ma anche una pistola diretta verso l’ascoltatore, l’industria musicale e la scena rap.
È un album che prese forma per non lasciare vivo nessuno, neppure chi l’aveva scritto. Verrebbe da dire “Io qui non faccio rime, io faccio la roulette russa”, parafrasando lo stesso Fibra di “Io non ti invidio”. È un disco rimasto nel tempo non solo per il linguaggio scioccante, ma anche perché figlio di una reale necessità, di un’urgenza e di una tensione che attraversano tutte le canzoni. Una volta Massimo Pericolo, ricordando l’uscita di “7miliardi”, disse che la sua carriera è iniziata quando la sua vita sembrava per finire. Vent’anni prima Fibra ha vissuto lo stesso processo: ha trasformato la parte peggiore di sé e di noi in un disco che ancora oggi è un profondo atto di libertà, che dovrebbe farci riflettere sul valore sempre più attuale della verità in campo artistico.