Le copertine dei magazine, gli spezzoni dei servizi dei telegiornali sulla band-fenomeno che incarnò il rinascimento culturale del Regno Unito dopo anni di recessione, i filmati dei concerti ritirati fuori dagli archivi, i ritagli con gli articoli di giornale. E la copertina, iconica, di “Definitely maybe”. L’inizio dello show è un salto indietro nel tempo di trent’anni. Eppure Liam Gallagher davanti ai 60 mila dello Sziget Festival non parla al passato: “It’s just rock’n’roll”, “È solo rock’n’roll”, canta, a mo’ di mantra, su “Rock’n’roll star”, il brano con il quale si presenta sul main stage del festival ungherese, immacabile parka (nonostante il termometro segni più di 25 gradi centigradi), tamburello e gomma da masticare in bocca. In testa ha qualche capello bianco in più rispetto alle immagini sgranate dei mesi successivi all’uscita di “Definitely maybe”, l’album che nel 1994 diede il via alla scalata degli Oasis, e anche la voce è diversa rispetto ad allora: più ruvida, grinzosa, granulosa. Forse anche migliore di trent’anni fa. Eppure Liam è rimasto il simpatico cafone dell’epoca, con la stessa presenza scenica e l’attitudine sfrontata e arrogante. Allo Sziget si era esibito già due volte: nel 2000 con gli Oasis, durante il tour di “Standing on the should of giants”, e nel 2018 da solista, per presentare il suo album “As you were”. Stavolta l’occasione è speciale: quella ospitata ieri sera dal palco principale del festival di Budapest è stata l’unica data in Europa continentale del tour del trentennale dello stesso “Definitely maybe”, fuori dal Regno Unito. E non ha deluso le aspettative.
Tra cori da stadio e fiumi di alcol, davanti al pubblico multiculturale che si è dato appuntamento sotto al palco dello Sziget, Liam rivive l’intera epopea di “Definitely maybe”, i mesi che a partire dall’aprile del 1994, quando uscì il primissimo singolo del disco, “Supersonic”, scandirono la fulminea ascesa della band dei fratelli Gallagher. Al suo fianco c’è chi quell’epopea l’ha vissuta in prima persona. No, non è naturalmente suo fratello Noel (a proposito: sui social si rincorrono voci incontrollate e incontrollabili su una possibile reunion nel 2025, con i fan che interpretano dettagli apparentemente insignificanti - la decisione di Noel di cancellare il progetto di un disco acustico, il fatto che Liam non abbia ancora annunciato impegni per il 2025 - come indizi, ma senza prove concrete). Ma Paul “Bonehead” Arthurs, il chitarrista che tra l’inverno del 1993 e la primavera del ’94 entrò in studio insieme ai fratelli Gallagher, al bassista Paul McGuigan e al batterista Tony McCarroll per incidere un disco che - loro non l’avrebbero potuto certo immaginare, in quei mesi - avrebbe segnato uno spartiacque nella storia del rock. A completare la band ci sono i musicisti che accompagnano Liam Gallagher dalla svolta solista del 2017 con “As you were”, Drew McConnell al basso e ai cori (visto e sentito già nei Babyshambles di Pete Doherty), Mike Moore alla chitarra e Dan McDougall alla batteria. Con loro Liam (ri)suona tutti i brani contenuti in “Definitely maybe”, da “Shakemaker” a “Married with children”, da “Up in the sky” a “Cigarettes & alcohol”, da “Digsy’s dinner” a “Bring it on down”. Non solo: rispolvera anche le b-sides di quell’album, che il 30 agosto tornerà nei negozi in occasione del trentennale sotto forma di ristampa in edizione deluxe, contenente anche brani registrati e poi scartati durante le sessions ai Monnow Valley Studios e ai Sawmills Studios in Cornovaglia.
E così a rendere ancora di più l’idea dell’evento - appuntamento di punta della terza giornata dello Sziget, dopo l'esibizione di Kylie Minogue di mercoledì sera e quella di Halsey di giovedì - e a mandare su di giri i fan più sfegatati degli Oasis arrivano - tra le altre - “Half the world away” (dal retro di “Whatever”), “D’yer wanna be a spaceman?” e “Fade away”, rispettivamente il lato B di “Shakemaker” e quello di “Cigarettes & Alcohol”. Un modo per monetizzare la nostalgia? Un po’ sì, anche se dopo la parentesi dei Beady Eye, durata cinque anni, dal 2009 al 2014 (il tempo di incidere due dischi mediocri, “Different gear, still speeding” del 2011 e “BE” del 2013), l’eroe di Manchester abbia scritto tre album ispiratissimi come “As you were”, “Why me? Why not.” e “C’mon you know”, con i quali ha riempito le arene dimostrando di poter vivere anche non di rendita. A chi lo accusa invece di continuare a campare grazie alle canzoni scritte dal fratello, Liam, mani unite dietro la schiena e mento in su (ha detto che la posa, diventata iconica, gli permette di “dare maggiore potenza alla voce”), ricorda che probabilmente quei pezzi non sarebbero diventati gli inni generazionali che a distanza di trent’anni continuano ad essere cantati a squarciagola tanto da chi la scena Britpop l’ha vissuta in prima persona (e oggi, a cinquant’anni, si scatena nel parterre perdendo ogni dignità, magari indossando una maglietta del City, rimpiangendo la propria adolescenza) quanto da chi quando uscì “Definitely maybe” non era ancora nato.
Come “Supersonic”, con quel giro di chitarra elettrica - lo suonava Noel - riconoscibilissimo: “I need to be myself / I can't be no one else / I’m feeling supersonic, give me gin and tonic / you can have it all, but how much do you want it?”. Sulle atmosfere romantiche di “Slide away” qualche cinquantenne si commuove, mentre i ragazzini si abbracciano e cantano con i pugni verso il cielo con tutto il fiato che hanno nei polmoni: “Now that you're mine / I′ll find a way of chasing the sun / let me be the one that shines with you / in the morning when you don't know what to do”. C'è anche chi sotto al palco tiene le mani giunte davanti alla bocca e gli occhi chiusi, mentre Liam canta. Come se fosse una religione. Ne manca ancora una. La più bella di tutte. Quella che ogni volta fa riempire gli occhi di lacrime. Quando parte il groove di batteria di “Live forever” quelle dei 60 mila - più uno, Liam - accalcati sotto al palco del main stage dello Sziget diventano un’unica, grande voce: “Maybe I don't really wanna know / how your garden grows / ‘cause I just wanna fly”. No, non è revival: è un barlume di eternità. “You and I are gonna live forever…”, canta Liam. E chissà che sul palco, alla fine, quando tira su il cappuccio del parka e si gode a braccia aperte l'ovazione della folla al centro della passerella che divide in due il parterre, non si commuova un po’ anche lui.