Bon Jovi, 40 anni: "Il nuovo album è gioia. Richie è un fratello"

"Ora, davanti a noi, sembra esserci un futuro luminoso". In arrivo una docuserie: l'intervista

"Whoa, we're half way there / Whoa oh, livin' on a prayer", cantava Jon Bon Jovi nel 1986 in "Livin' on a prayer", la hit con cui esplose nel grande successo l'avventura dei Bon Jovi, che come dice Bruce Springsteen nel documentario "Thank you, goodnight" hanno "canzoni fatte apposta per essere cantate da 20mila persone in un’arena". Quasi quarant'anni dopo l'uscita del terzo disco "Slippery when wet" e con una storia ultraquarantennale ormai vissuta appieno e da raccontare, per la band continua a essere un viaggio fantastico come se fosse ancora "a metà strada". "Per dirla alla Bon Jovi: 'We're half way there', 'siamo a metà strada'. Quindi abbiamo altri 40 anni davanti a noi", scherza David Bryan a un certo della chiacchierata con Rockol via Zoom.

Partiti dal New Jersey agli inizi degli anni Ottanta nel mito di Springsteen e Southside Johnny, i Bon Jovi sono arrivati in tutto il mondo percorrendo la strada di una luminosa carriera, ma non per questo priva di alti e bassi, perdite, cadute e riprese. È una storia fatta quindi di "amore, dedizione, realizzazione e anche di delusione", sottolinea durante la chiacchierata con Rockol Jon Bon Jovi. Il prossimo 26 aprile sarà disponibile su Disney+ il documentario di quattro episodi "Thank you, goodnight: the Bon Jovi story" che, diretto e prodotto da Gotham Chopra, ripercorre l'avventura del gruppo attraverso immagini d'archivio, testimonianze di amici ed eroi, oltre a interviste ai componenti della band, incluso Richie Sambora. "È un fratello", afferma Tico Torres senza esitazione. La storia dei Bon Jovi si intreccia alla narrazione legata ai problemi alle corde vocali di Jon, che al momento non sa ancora se e quando potrà tornare sui palchi ma che con la sua band ha già inciso un nuovo album, "Forever", anticipato dal singolo "Legendary" e in uscita il prossimo 7 giugno.

In vista dell'uscita di "Thank you, goodnight: the Bon Jovi story" e del sedicesimo lavoro di studio della formazione statunitense, in collegamento via Zoom, Jon Bon Jovi insieme al regista Gotham Chopra e David Bryan con Tico Torres hanno raccontato a Rockol il documentario e il disco, con alcune riflessioni legate ai loro miti, a Richie Sambora e al futuro. Che nelle parole del frontman, sembra "luminoso".

Rockol: 40 anni di carriera dei Bon Jovi. Come si è voluto raccontare questa storia in “Thank you, goodnight: the Bon Jovi story”?
Jon: Abbiamo preso in considerazione l'idea di realizzare questo documentario mentre il 40esimo anniversario si stava avvicinando. Vagamente, l’inizio della conversazione era di fare un episodio per ogni decennio. Quando poi io e Gotham Chopra ci siamo incontrati, e lui si è reso conto che potevamo raccontare una storia parallela legata al mio problema di salute, è venuto fuori un altro punto di vista. E ora, mentre attendiamo di pubblicare anche un altro album in studio, sembra che ci sia un futuro luminoso davanti a noi. L’accoglienza del nuovo singolo “Legendary”, ci ha fatto capire di avere una canzone di successo tra le mani. E dopo 40 anni di carriera, a essere sincero, chi l’avrebbe mai detto? È una grande canzone ed è fantastico provare di nuovo quella gioia e soddisfazione.
David Bryan: Il documentario è la storia. Sono quattro episodi per cinque ore, dall’inizio al presente. Gotham Chopra, il nostro regista e produttore, ha realizzato davvero un documentario straordinario, che suona vero, è sincero. È sorprendente poi la quantità di filmati che lui è riuscito a trovare e scovare in giro per il pianeta. Penso che i fan lo adoreranno tanto quanto noi.
Tico Torres: È uno sguardo su di noi dall’interno. Non avevamo mai mostrato quella parte di noi, prima d’ora. E quando ne guardiamo degli spezzoni, il documentario ci riporta alla mente ricordi che pensavi di aver dimenticato. Quaranta anni sono tanti, se ci pensi.

Rockol: Come è dirigere una band come i Bon Jovi?
Gotham Chopra: È magico. La loro è una storia straordinaria di oltre 40 anni, che ormai sta entrando nel suo quinto decennio. C'era così tanto materiale d’archivio raccolto dietro le quinte nel corso degli anni da Jon e dalla band. E loro hanno dato il permesso di accedere agli archivi personali. Gran parte di questi anni è stata documentata da MTV, VH1 e da persone di tutto il pianeta. C’è un sacco di ottimo materiale accessibile a tutti, su Jon, la band, e anche Richie Sambora. Poi c’è stata tutta la storia dei problemi di Jon alle corde vocali, che è accaduta - come diciamo noi - in tempo reale. E quindi c’era davvero tanto materiale. Io sono stato entusiasta di riunire un team creativo, la mia band, e dare un senso a tutto. Tutto ciò di cui avevamo bisogno era tempo. Ma Jon è venuto da me con una visione due anni fa. Quindi abbiamo avuto tempo per lavorarci e pubblicarlo per il quarantennale. È stato una gioia, qualcosa di davvero straordinario, ed è stato un privilegio.

Rockol: Qual è l'aspetto gioioso o più interessante su cui avete riflettuto durante la lavorazione di questo documentario?
Jon: Questo progetto ha riportato alla mente molti ricordi. E come sulle montagne russe, ci sono molti alti e bassi, avanti e indietro, nel ripercorrere questa avventura. Ma nel vedere i quattro episodi di questo documentario c’è molto gioia alla fine, perché si percepisce un sentimento di amore, di dedizione, di realizzazione e anche di delusione. E alla fine, è anche una riflessione sulla vita. 
David Bryan: La gioia è che siamo ancora qui. Questa è probabilmente la gioia più grande che arriva da questo viaggio gigantesco, sorprendente e fortunato, ovvero dalla fondazione della band fino ai giorni nostri. È stata un’avventura piuttosto gioiosa e sorprendente.

Rockol: Qual è l'aspetto principale della vostra storia che vorreste lasciare al pubblico con questo documentario?
David Bryan: Penso che molte persone, come noi, siano rimaste stupite nel guardarlo, dal primo episodio all'ultimo. È un viaggio fantastico. Siamo molto, molto fortunati. E siamo fortunati ad avere grandi fan. Per dirla alla Bon Jovi [come in “Livin’ on a prayer”], “we're half way there”, “siamo a metà strada”. Quindi abbiamo altri 40 anni davanti a noi. E inoltre lo abbiamo fatto per voi.

Rockol: Nel documentario ci sono molti ospiti, alcuni dei vostri eroi. Cosa significa avere nella serie contributi di artisti come Springsteen o Southside Johnny?
Jon: Essendo cresciuto in New Jersey, Bruce Springsteen rappresenta la vetta del rock and roll nel New Jersey. E Southside Johnny solo dopo di lui. Ho circa 12 anni in meno di loro, quindi per me sono sempre stati come dei fratelli maggiori, degli eroi e dei modelli. Quando cresci a solo mezz’ora di strada dal locale frequentato abitualmente da membri di Asbury Jukes o E Street Band, è probabile che qualche sera ti capita di incontrarli. Era come incontrare Babbo Natale, presente in ogni momento, il che a sua volta faceva sembrare possibile l'impossibile. Vedi, tutte queste cose hanno avuto una grande influenza su di me quando ero ragazzo.

Rockol: Nel documentario c'è anche un contributo di Richie Sambora. Cosa significa per voi avere il suo contributo in questa serie? E cosa rispondete ai fan che vi chiedono quando Richie Sambora tornerà nella band?
Tico Torres: Richie è un fratello. È stato con noi fin dall'inizio. E la vita a volte si mette in mezzo: le situazioni accadono. Sono felice che abbia dato il suo contributo. Faceva parte di questo e tra noi non c'è mai stata una discussione o altro del genere o qualcosa di brutto. È solo che la vita si mette in mezzo, e va bene così. Sono felice che sia riuscito a dire la sua parte della storia e quello che è successo. È come se fosse ancora un fratello per noi. Siamo cresciuti insieme. Allo stesso modo per noi lo era Alec John Such, prima della sua scomparsa. Lo è ancora, anche se lui è lassù.
Jon: È importante che ci fosse anche lui davanti alla telecamera a raccontare la sua storia. Non ci sono stati problemi, né da parte sua né da parte nostra. Voglio essere ancora una volta chiaro, per l’ennesima volta: non c'è mai stata una lita, non c'è mai stata alcuna ostilità. Aveva alcuni problemi, sia con l'abuso di sostanze che con l’ansia e con l'essere un padre single, più molti problemi che lo hanno portato a lasciare la band. Ma quando se ne è andato, la band è andata avanti. E sono passati 11 anni da quando ha deciso che non voleva più farlo. Anche se abbiamo tutti il cuore spezzato, che si tratti dei fan o di noi della band, è stata una scelta. Ma non c'è meno amore per lui, perché non è più qui. Tutti coloro che sono presenti in questa docu-serie, in quattro parti, sono coloro che hanno dato il loro contributo durante il nostro percorso e che ci hanno portato a dove siamo oggi. E quindi apprezziamo tutto e tutti coloro che ci hanno portati qui oggi. E auguriamo a tutti, ovunque, questo augurio. Ora dico: “Se mai volessi esibirti con la band, vieni pure”. Con noi ci sono John Shanks e Phil X, ma c’è sempre un amplificatore per chitarra in più a cui collegarsi.

Rockol: Il nuovo album, “Forever”, che capitolo della vostra carriera rappresenta e cosa significa a questo punto della vostra storia?
Jon: Rappresenta molta gioia. Scrivere e registrare questo disco non è stato altro che gioia. E l’accoglienza finora è stata incredibile.
Tico Torres: Abbiamo provato molta gioia nel fare questo disco. Ricorda molto quello che facevamo negli anni ’80: è puro e positivo. Il fatto di averne passate tante insieme e di riuscire ancora a creare qualcosa, ci dà gioia. E penso che anche i fan lo apprezzeranno, perché siamo noi ed è come il cerchio che si chiude. Ci sono voluti quarant’anni per arrivare a questo punto. Quindi spero che piaccia davvero perché ci siamo divertiti molto a realizzarlo. Per noi è stato facile, alla fine.
David Bryan: Basta ascoltare "Legendary", il primo singolo: è gioioso. Ha un proprio spirito. Siamo andati in studio e abbiamo fatto tutto, guardandoci l'un l'altro e abbiamo realizzato questo fantastico disco rock and roll. E ne siamo davvero orgogliosi. E sta già ottenendo un'ottima accoglienza, il che è una cosa carina.

Rockol: "Forever" è un album in cui le chitarre sono in primo piano e si respira l'essenza dei Bon Jovi, ma non mancano ballad e brani più emozionali. Durante il processo di realizzazione dell'album qual era il vostro obiettivo sonoro e ora, secondo voi, qual è il suono dei Bon Jovi nel 2024?
David Bryan: Semplicemente siamo noi. Non ci piace suonare e pensare dall’inizio: “Questo album dovrà suonare così!”. Ci troviamo in studio e tiriamo fuori delle canzoni. Ognuno di noi se ne esce fuori con la propria parte e così abbiamo le canzoni. Poi semplicemente si costruisce in studio, continuamente. Non ci sono idee precostituite, semplicemente qualcosa si evolve in quello che deve essere.
Tico Torres: Come della salsa o del sugo fatti in casa. Dipende dai proprio gusti e assaggiandolo decidi gli ingredienti: un po’ di aglio, dell’olio, e del sale magari. E lo lavori fino a quando non porta felicità. Poi lo fai assaggiare alla famiglia, che impazzisce da quanto è buono. È così che funziona.
Jon: L'obiettivo è sempre stato quello di suonare come i Bon Jovi, non come qualcos'altro o qualcun altro. E penso che abbiamo raggiunto da tempo quel suono. Quando ero ragazzo, ricordo di aver detto: "I Rolling Stones suonano come gli Stones". Questo era il complimento più grande che potevi fare ad una band, che suonavano come se stessi. E questo era il nostro obiettivo e penso che abbiamo raggiunto quell'obiettivo da tempo.

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