Il giorno di San Valentino del 2009 Dente pubblicava “L’amore non è bello”, un album pieno di fotografie stropicciate e romantiche, registrato direttamente su nastro, intimo e insieme spietato, che ha gettato più di un seme per una nuova leva cantautorale. Quindici anni dopo, è tempo di celebrazioni con un tour andato rapidamente sold-out e un’edizione speciale in vinile con i provini casalinghi e un brano d’epoca, del tutto inedito. Ecco il racconto di un compleanno davvero emozionante.
Cosa rappresenta per te “L’amore non è bello”?
È un album molto importante per me, per la mia carriera e per la mia vita. Mi ha fatto emergere e ha avuto allora una buona popolarità, anche se oggi per popolarità ci immaginiamo ben altro. In più, era il primo che registravo in uno studio vero, in un periodo di cambiamenti molto intensi. Che ricordo poco, ma di cui ho ricordi molto belli.
È un album che dietro a un’apparente leggerezza in realtà nasconde dei sentimenti intimi, anche cupi. Pensi sia stato un precursore di un nuovo modo di raccontare la quotidianità?
Sì, ma non l’ho fatto di proposito. Come faccio ancora oggi, quando ho da levarmi di torno qualcosa che mi appesantisce, ho la fortuna di non essere obbligato a dare pugni contro il muro, ma di usare una chitarra per sfogarmi. Cosa che se tutti facessero, vivremmo sicuramente in un mondo migliore, con tantissime canzoni e con meno guerre. Fa comunque parte del mio carattere dire delle cose terribili senza urlare. Perché mi è sempre sembrato molto scontato dire un “vaffanculo” urlando, quando invece farlo sottovoce è molto più potente.
Rifaresti tutto allo stesso modo?
Ho dato il massimo a quei tempi, sia umanamente che tecnicamente. Nonostante le sue imperfezioni, non cambierei niente. E così anche nei testi: quando canto quelle canzoni continuo a credere fermamente in quello che c’è dentro. Continuano a colpirmi e continuano a essere canzoni che canto con fierezza.
Queste canzoni continuano quindi ad avere lo stesso impatto emotivo per te?
Sì, ovviamente in modo diverso perché sono passati quindici anni e all’epoca le storie erano fresche e anche molto dolorose. Mi ci sono però ritrovato come farebbe un ascoltatore che sente queste canzoni per la prima volta. Ho sentito la potenza che hanno ancora. Almeno per me.
Come nel tuo ultimo “Hotel Souvenir”, ti sei spesso trovato a fare i conti con il tempo che passa. Com’è stato riaprire questo capitolo della tua vita?
L’ho riaperto cercando anche di chiuderlo il prima possibile perché non amo troppo il revival. Non mi va di insistere troppo su ciò che ha funzionato, su un tema o su un compleanno esagerato. C’era però la volontà di ristampare l’album perché non era disponibile da tanto tempo e volevo aggiungere delle cose in più, tra cui un pezzo inedito del periodo e i provini. Se il disco è genuino, si può immaginare come possono essere i provini fatti in casa, con delle versioni molto diverse da quelle poi finite su album. Volevo festeggiare un bel compleanno, però in breve, senza star troppo a rivangare quello che è stato.
Ci parli del brano inedito, “Domenica d’agosto”?
Avevo molto materiale, in realtà. In particolare, “Domenica d’agosto” è un pezzo di quegli anni, anche antecedente, forse del 2007. A Fidenza c’è un luogo in cui andavo spesso a suonare la chitarra nei pomeriggi d’estate e un giorno mi è uscito questo pezzo dopo una telefonata. Era una domenica d’agosto, appunto. Mi ricordo molto bene il luogo, il momento e i motivi di questa canzone un po’ bizzarra che ho sempre sognato di far uscire.
Che effetto ti fa rivedere le foto che accompagnano la riedizione del disco?
Sono tutte foto di Beatrice De Giacomo. Eravamo tutti e due agli inizi delle nostre carriere e anche un po’ degli scappati di casa che sperimentavano. Impensabile per chi inizia a fare musica oggi, perché c’è tanta professionalità fin da subito. Dentro queste foto e dentro questi occhi ritrovo l’ingenuità di quei tempi e quella voglia di fare le cose così, perché era bello farle.
Cos’è rimasto oggi del Dente che chiedeva di andare a vivere insieme a lui?
Il motivo per cui scrivo canzoni non è cambiato, ho sempre bisogno di vivere, di fare esperienze che poi mi possano portare a scrivere canzoni. A volte mi vedo cambiato perché sicuramente non sono la stessa persona che ero nel 2009, però per molti meccanismi miei sono rimasto ancora molto bambino e ingenuo. Così, nel bene o nel male, non sono cambiato molto.
I 15 anni di “L’amore non è bello” si celebrano anche con un tour che ha già registrato diversi sold-out...
Sì, è stata una grande sorpresa. Mi aspettavo un po’ di attenzione per questo tour e per questa ristampa, ma non così tanto. Non mi era mai successo di dover raddoppiare le date. Volevo comunque una celebrazione non tirata troppo per le lunghe, ma quando abbiamo capito che c'era la possibilità di aprire nuove date e si poteva far felice un po’ di gente, l’abbiamo fatto. Non me l’aspettavo e ora anche le ultime date rimaste stanno andando sold-out.
Molti di questi brani sono ormai una parte fissa delle tue performance dal vivo. Che effetto fa portare sul palco questi brani?
Farò tutto “L’amore non è bello” di filato, e alla band che mi accompagna si è aggiunto un sassofono per dare un ulteriore colore. Alcune canzoni sono inevitabilmente un po' lenite dal tempo, invece un pezzo come “La presunta santità di Irene” che dal vivo ho suonato pochissime volte è sempre molto emozionante. Anche “Solo andata”, chitarra e voce, che suonerò da solo sarà un momento molto particolare. È una canzone di cui ricordo benissimo la prima volta che l’ho fatta dal vivo, in un bar di Brescia, di fianco al bancone dei salumi. Così cantarla adesso, davanti a un pubblico diverso, in questo tour abbastanza trionfale per quanto riguarda le vendite dei biglietti, sarà davvero speciale.
Dopo 15 anni, ancora l’amore non è bello?
Come dicevo allora, penso che sia una cosa bellissima, ma che quando si rovescia può diventare terribile.