Eugenio Finardi "Non essere credenti non esclude la spiritualità"

Finardi dal vivo nel 2003 insieme a Francesco Saverio Porciello, Vittorio Cosma e Giancarlo Parisi

“Sapevamo già che il fatto di non essere credenti non escludeva la spiritualità. Questo disco, con i concerti che l’hanno accompagnato, ci ha aiutato a mettere a fuoco il concetto. E a scoprire un nuovo ruolo per la musica”, così Eugenio Finardi ci sintetizzò il concetto racchiuso in “Il silenzio & lo spirito”, l'album live che venne pubblicato il 12 dicembre 2003, venti anni fa. L'abbiamo ripreso in mano e riascoltato rileggendo la recensione del disco che scrisse per noi Paola Maraone.

Un laico che canta musica sacra può essere a) ridicolo; b) credibile. L’esperimento che quest’album rappresenta si colloca a buon diritto nella seconda categoria: suona intenso, sincero, emozionante. “Il silenzio & lo spirito” è una rilettura di brani nati “per celebrare il Divino”, o giù di lì. Meglio di mille spiegazioni è il pezzo che apre l’album, “Oceano di silenzio” di Franco Battiato, che in poche parole sintetizza il senso del progetto: “Un Oceano di silenzio scorre lento senza centro né principio/ cosa avrei visto del mondo senza questa luce che illumina i miei pensieri neri. Quanta pace trova l'anima dentro/ scorre lento il tempo di altre leggi, di un'altra dimensione/ e scendo dentro un Oceano di silenzio/ sempre in calma”.

Seguono pezzi (dai traditional al pop, alla musica classica) che hanno come denominatore comune un elemento essenziale: quello di favorire la meditazione e di ispirare un percorso di riflessione. Così il secondo brano è la bellissima “The land of plenty” di Leonard Cohen, che peraltro è l’unico autore a comparire due volte nell’album (la seconda è con “Hallelujah”), un pezzo caro da anni a Finardi.

Ma poi ci sono anche “Il ritorno di Giuseppe”, novella mistica di De André (che in fondo, a Cohen, è molto vicino), una celebre corale dalla Cantata 147 di Bach, e un pezzo (“Danza di Eolo”) tutto strumentale, suonato con le zampogne che un tempo erano considerate strumento del diavolo. Dissacrante? No, più che altro illuminante. Colpisce in particolar modo il rigore con cui Finardi e i suoi (gli altri sono Francesco Saverio Porciello, Vittorio Cosma, Giancarlo Parisi) hanno “spogliato” i pezzi in scaletta, affrontando gli spartiti orginali con un enorme rispetto di fondo e soprattutto con il desiderio di studiare il testo fin nei minimi dettagli, per rifarli à la Finardi senza che nessuno degli autori si offendesse.

Oltre alle nove cover (tra cui spicca la peculiare “Ave Maria Fadista”, dal repertorio di una grande artista: Amalia Rodrigues) ci sono quattro brani originali, composti per l’occasione, che ben si mescolano al resto del percorso: il risultato è un concerto di Natale sui generis, che va ben oltre il tempo del panettone; da ascoltare, potendolo fare, dal vivo (di qui a primavera sarà riproposto in molti luoghi d’Italia). In alternativa questo cd è un ottimo succedaneo – e non perdete i contributi video, che raccontano un Finardi un po’ diverso da come lo conoscete.

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