“Era tardo pomeriggio. Mi squillò il telefono: ‘Peter, sono Freddie. Ascolta, sto venendo a casa tua. Mi è venuta un’idea’. E riattaccò subito. Freddie era così. E non riuscivi mai a dirgli di no: il suo entusiasmo era contagioso. Si presentò con la corona e il mantello che aveva indossato sui palchi del ‘Magic tour’ del 1986, l’anno precedente. Allestimmo al volo il set e si fece scattare quella foto con il telo bianco alle spalle: mi spiegò che si sarebbe fatto stampare un cartonato a grandezza naturale e lo avrebbe utilizzato nel videoclip del singolo che avrebbe pubblicato di lì a breve”: Peter Hince racconta così a Rockol come scattò una delle foto più iconiche raffiguranti Freddie Mercury, il leggendario frontman dei Queen, che sarebbe scomparso quattro anni dopo quel clic a causa dell’Aids. L’immagine, scelta in questi trentadue anni dalla morte di Mercury per copertine di libri fotografici, biografie e anche raccolte, è tra le foto che da domani saranno esposte al WeGil di Roma per “Queen Unseen - Peter Hince”, la mostra fotografica che vede il fotografo britannico, per anni una sorta di membro aggiunto della band di “Bohemian Rhapsody”, mettere a disposizione di fan e appassionati alcune istantanee degli anni d’oro dei Queen.
La mostra, che arriva nella Capitale dopo il successo riscosso a Torino, Gallipoli e Rimini, resterà aperta fino al 4 febbraio: “Le 90 foto ricoprono un arco temporale lungo un decennio, dal 1975 alla metà degli Anni ’80. Mi reputo fortunato: grazie al rapporto che avevo con Freddie, Brian, Roger e John, riuscii a ritrarre non solo momenti dei loro concerti, ma anche altri più intimi, privati”, racconta Hince, 68 anni, che parla un perfetto italiano. Classe 1955, Hince lasciò a soli diciott’anni la natìa Hereford, nella zona sud-ovest di Birmingham, per inseguire i suoi sogni di rock’n’roll. Incontrò i Queen nel 1973, quando Mercury e compagni facevano da gruppo di supporto nel tour britannico dei Mott The Hoople, per i quali Hince - che aveva lavorato già con David Bowie - lavorava come roadie. Fu solo due anni più tardi, nel 1975, che Hince entrò a far parte dei Queen a tempo pieno. Fu assistente personale di Freddie Mercury e del bassista John Deacon, diventando in seguito capo della road crew della band, che l’anno precedente con l’album “Sheer heart attack” - quello di “Killer Queen” - si fece conoscere anche oltreoceano, prima della consacrazione definitiva con “A night at the opera”.
“Queen Unseen” punta a far rivivere l’epopea di Freddie Mercury, Brian May, John Deacon e Roger Taylor, ritratti nei migliori anni della loro vita sui palchi, in studio ma anche lontano dai riflettori o dalle sale di registrazione. Ci sono momenti di backstage, come quelli dell’estate del 1986, durante il “Magic tour”: in una di queste foto, scattata a Madrid, Freddie tiene teneramente in braccio il cane del promoter. Ci sono le foto delle sessions ai Mountain Studios di Montreux, in Svizzera, utilizzati per la prima volta dai Queen nel 1978 per l’album “Jazz”. Ci sono gli scatti realizzati sui set dei videoclip delle hit della band. Ci sono anche foto scattate nel 1981 in occasione del tour in Sud America, “primo gruppo rock europeo ad esibirsi dal vivo in quei paesi, all’epoca”, con i militari a sorvegliare le chitarre e gli altri strumenti della band. E c’è anche la prima foto in assoluto che ritrae il frontman con i suoi iconici baffi, scattata ai Musicland Studios di Monaco di Baviera nel 1980: “Questa polaroid è la prima foto di Freddie con i baffi, durante le sessioni di ‘The game’ - ricorda, sorridendo, Hince - avevo da poco acquistato un dorso per polaroid per la mia fotocamera e Freddie mi chiese di scattargli una foto per vedere come appariva su stampa. Mentre aspettavo i sessanta secondi standard per lo sviluppo della polaroid, Freddie si agitò: ‘Dai, quanto manca?’. Staccai la carte di supporto e prima che potessi dare un’occhiata me la strappò di mano vezzeggiandosi: ‘Sto benissimo, non è vero?’”.
L'archivio di Peter Hince è unico e copre non solo un ampio periodo della carriera pubblica dei Queen, ma contiene anche rare immagini riprese dietro le quinte. Pur non essendo mai stato nominato come fotografo ufficiale dei Queen, la band si sentiva rilassata e a proprio agio con lui: “Ho tante immagini da parte. Ma alcune di queste non le pubblicherò mai. So che gli altri non sarebbero contenti se io le pubblicassi. Non facevo il paparazzo: lavoravo a tutti gli effetti per i Queen, con i Queen. Ho fatto foto che altri fotografi non avrebbero mai potuto fare. Soprattutto a Freddie, che non aveva un buon rapporto con giornali e riviste: i giornali scandalistici non si comportarono bene con lui, soprattutto negli anni della malattia. Quando c’era un obiettivo davanti a lui, Freddie si copriva i denti, si dava un tono. Con me era diverso: si prendeva in giro, anche”.
Oltre alle foto, la mostra “Queen Unseen” ospita anche cimeli e oggetti rari appartenuti a Freddie Mercury, a partire da un microfono esposto precedentemente solo dodici anni fa in Australia: “Non è solo una mostra: è un’esperienza, un’immersione. Che rivela una parte dei Queen completamente sconosciuta. I fan escono con le lacrime agli occhi”, dicono gli organizzatori, che hanno installato anche una sala video nella quale vengono proiettati cinquanta minuti di video rari, alcuni dei quali “assolutamente inediti” (come quello in cui compongono in studio “We are the champions”).
Il sodalizio tra Peter Hince e i Queen si interruppe nel 1986, ma nei successivi due anni il fotografo continuò a collaborare con Mercury, che da solista incise gli album “Mr. bad guy” nel 1985 e “Barcelona” nel 1988 (frutto della collaborazione con Montserrat Caballé): “Se Freddie ha mai pensato di tradire i Queen? No, mai - risponde Hince, che dopo l’ultimo tour dei Queen ha avuto una carriera di successo come fotografo pubblicitario e oggi vive tra Londra e Monaco - anche Roger ha fatto dei progetti da solista all’inizio degli anni ‘80. E così Brian. Forse nei confronti di Freddie c’è stata più attenzione perché era il frontman. La verità è che i Queen erano forti insieme. In quattro facevano la differenza. Anche se avevano stili diversi e idee diverse. Da soli sono andati così e così”.