I Blur a Wembley: anche le rockstar si commuovono

Un Damon Albarn, sorpreso ed emozionato, si conferma un genio e uno schizzato. E anche uno di noi.

Alla fine del primo dei due concerti al Wembley Stadium di Londra, davanti a 90mila persone, Damon Albarn si porta le mani giunte verso il viso e ringrazia. Sembra quasi una preghiera. Fa un piccolo inchino e si commuove. Quel momento in cui appare fragile ed emozionato deve avere come contraltare qualche cosa di ironico ed esorcizzante per l’ego, ce lo insegna il suo modo di essere: e così, dopo aver abbracciato i suoi compagni di avventura Graham Coxon, Alex James e Dave Rowntree, esce di scena facendo finta di essere trascinato via da qualcuno che lo tirerebbe con forza per la felpa, come a dire “vieni via, adesso basta”. Non una felpa qualsiasi tra l’altro, ma una “riproduzione originale”, come specifica la stessa voce dei Blur, di quella marca Fila che indossava nel video di “Girls and boys” a metà anni ’90.

E anche in questo caso, una manciata di canzoni prima di congedarsi, la presenta a suo modo: Albarn esce dalla stessa tenda posizionata sul palco da cui è sbucato Phil Daniels, attore britannico famoso per “Quadrophenia” e con cui canta “Parklife”, e la mostra con gli occhi spalancati e un sorriso sciocco, ondeggiando le mani per ricalcare che ce l’ha indosso, come se qualcuno davvero potesse non notarla, quella mitica felpa. Un Joker schizzato, un genio, ma allo stesso tempo anche uno di noi per semplicità di atteggiamenti e voglia di condivisione. Nessuna spocchia o boria per quel figlio di una scenografa e di un insegnante d’arte, cresciuto a Londra Est, da grande diventato amico di David Bowie, oggi di Paul McCartney, fondatore di una delle band britpop più importanti della storia. E non solo, perché di Albarn non si parla mai abbastanza: che dire dei Gorillaz? E che dire ancora dei suoi bellissimi progetti fuori dagli schemi della musica di oggi come il disco solista “The nearer the fountain, more pure the stream flows”? In qualunque campo, su qualunque storia che ha attraversato, la sua creatività ha lasciato il segno. Impossibile non annoverarlo fra le figure artistiche più importanti della contemporaneità.

L’arrivo sul palco, con passo lento e cadenzato, sorrisino come se entrasse in un pub di conoscenti e non in uno stadio con 90mila presenti, racconta molto delle sue coordinate caratteriali. È una rockstar, come tutti i Blur, che non ha bisogno di pedane per far correre l’ego avanti e indietro, di effetti speciali, ospiti sul palco o trovate: nella notte leggendaria del ritorno della band britannica a Wembley, che non era più stata in tour dal 2015, l’unica celebrazione concessa è quella della musica. Ne è un esempio “Tender” cantata dai Blur e da tutto lo stadio con il London Community Gospel Choir, un momento di un’intensità straripante. Albarn, affiancato da Coxon, James e Rowntree, che si rivelano ancora una volta determinanti per rendere il live potente e avvolgente, sembra sempre in bilico fra simpatica follia e furore rock. Su pezzi come “Popscene” e “Song 2” canta a squarciagola in faccia al pubblico alle transenne, accenna uno spericolato stage diving portando l’adrenalina al massimo e poi risale sul palco: “c’è sempre qualche cosa di ridicolo nel vedere un uomo vecchio che si butta sulla gente”, dice facendo ironia inglese.

A volte i Blur, che saranno al Lucca Summer Festival il 22 luglio, vanno talmente oltre nel viaggio, che quasi li perdi per strada, rimanendo pur sempre affascinato dal loro immaginario: come quando Damon chiede di indossare la maschera in cartoncino di Darren, regalata a chi comprava almeno due magliette al merch, che ha ispirato il nuovo album. Il titolo del progetto “The Ballad of Darren”, che uscirà il 21 luglio, fa infatti riferimento a Darren "Smoggy" Evans, l’ex guardia del corpo del gruppo, che attualmente lavora per il frontman. La nuova fatica parla del superamento delle ferite, del “dopo” dolore. È questione di affetti, di famiglia, fuori e dentro la band. E basta guardarsi intorno per rendersene conto: a Wembley ci sono intere famiglie che cantano insieme. I Blur hanno rotto la clessidra e oggi, soprattutto nel Regno Unito, sono oltre il concetto di tempo.

Vedere a pochi passi un colosso palestrato, tutto vestito Adidas e con tatuaggi che richiamano al mondo hooligans, intonare “Country House” abbracciato al padre un po’ curvo su se stesso, con i capelli bianchi, è solo la porta d’ingresso a quello che rappresentano i Blur a livello culturale. Perché è come se fossero riusciti nel miracolo di essere icone immortali e allo stesso tempo un gruppo di amici in cui rispecchiarsi. Interclassisti e intergenerazionali. Se si chiudono gli occhi li si può ancora immaginare mentre cantano “The Universal” accarezzando il cuore e i ricordi di una folla gigantesca e palpitante, per poi guardarsi a fine concerto, stretti fra loro e sorpresi ancora dopo oltre vent’anni, come a dire “non male, eh?”.

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