Francesco Fei, il regista del documentario “X sempre assenti”, che viene presentato questa sera al Biografilm Festival di Bologna, descrive i Verdena come “animali mitologici in via d’estinzione”. Alberto, Luca e Roberta, infatti, sono artisti e musicisti lontani dai riflettori del music business, acidamente autentici, schietti, naturali, naif, semplici e allo stesso tempo complicati, proprio come le grandi rockstar. Per il loro modo di concepire e vivere la musica sono senz’altro unici in Italia: “Questo perché antepongono la verità a tutto, e lo fanno in modo naturale. Non ci sono filtri commerciali in quello che fanno. E questo, se all’inizio li ha in qualche modo frenati su alcuni aspetti, oggi è un tratto caratteristico che li rende senza uguali”, continua Fei.
Intimità
Il documentario, di cui Rockol aveva mostrato in anteprima una versione ridotta nei giorni di uscita dell’ultimo disco della band bergamasca “Volevo magia”, segue il gruppo rock nella sua vita privata e nella preparazione del tour di presentazione dell’album che ha segnato il loro rientro sulle scene dopo sette anni di silenzio. Un’opera unica per capacità di entrare nell’intimità dei protagonisti, all’interno delle loro famiglie, nel profondo delle vite semplici che conducono e dei luoghi isolati dove vivono, ma in grado anche di raccontare la loro esistenza come grande rock band.
“Ho conosciuto i Verdena nel 1999 in occasione del videoclip del loro primo singolo ‘Valvonauta’ – ricorda Fei - quello che mi colpì di più fu la loro indole, decisamente anticonformista, infatti non vollero suonare in playback durante le riprese ma solo ed esclusivamente in diretta. Siamo poi tornati a lavorare insieme subito per il video successivo, ‘Viba’, girato a Londra durante la notte di Capodanno del 2000, poi per ‘Nel mio letto’ e infine nel 2007 per ‘Angie’. Quando l’anno scorso Luca Bernini, manager del gruppo insieme a Michele Annechini, mi ha chiamato per provare a realizzare un film sui Verdena, ho subito accettato. Sono entrato nella loro vita perché gli stessi Verdena me lo hanno permesso. Mi hanno aperto la porta e io sono entrato in punta di piedi. Senza sovrastrutture produttive: io con due camere, una fissa e una a mano”.
Verità
Un punto d’osservazione speciale. “È un approccio che avevo già utilizzato in altri miei lavori documentaristici - dice Fei – ricordo di aver forzato anche un po’ la mano quando chiesi ad Alberto e Roberta di poterli riprendere con i figli, o quando sono andato con Luca dalla nonna. È stato importante andare fino in fondo nella narrazione: i Verdena sono esattamente come sono nel doc, che infatti non è un prodotto commerciale. Oggi sui social gli artisti hanno ‘un’altra immagine’, che deve ‘funzionare’, ma che spesso non è veritiera. I Verdena no. Loro sono ‘fuori’ e ‘assenti’, lontanissimi da determinate logiche oggi dominanti. Il realismo è il cuore di quello che sono e automaticamente è diventato il fulcro del progetto”.
Lo studio-pollaio
Il documentario è un viaggio dentro Albino, dentro le case dei tre artisti e dentro lo studio di registrazione, il mitico “pollaio”. “Loro sono la musica che fanno e nel documentario si capisce il perché – prosegue il regista – le canzoni nascono da un’urgenza espressiva, per loro suonare è un bisogno, è vita. Infatti, per me, i momenti più forti sono stati quelli dentro il ‘pollaio’. Un caldo pazzesco, l’aria condizionata non funzionava, io con le mie camere e loro con i loro strumenti. E quella musica potentissima, incredibile, che non lascia respiro. Ed è pazzesco come una band del genere, con quella forza, fosse comunque agitata per il ritorno sulle scene. Anche questo nel documentario si percepisce. Per loro pubblicare il disco non era fonte di ansia, ma tornare sul palco dopo sette anni, sì. Questo dimostra il loro amore e la loro dedizione, anche maniacale, al mestiere del musicista. Il documentario finisce all'inizio del tour, ovvero quando i Verdena salgono sul palco e diventano ancora una volta imprendibili e obbligatoriamente da vedere dal vivo".