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King Krule è tornato per confermarsi come l’anti-hitmaker

Venerdì esce il nuovo album. Poi il 4 novembre sarà a Torino. Un consiglio? Non perdetevelo.
King Krule è tornato per confermarsi come l’anti-hitmaker
Credits: Frank Lebon

Dall’esordio di dieci anni fa con “6 feet beneath the Moon”, l’album che svelò prima al pubblico britannico e poi a quello internazionale l’inetichettabile talento di Archy Marshall, la musica di King Krule ha assunto toni sempre più cupi, tetri, quasi lugubri. “Space heavy”, il nuovo disco in uscita questo venerdì, 9 giugno, non inverte il trend. I quindici brani contenuti nell’album, il quinto della carriera del 28enne musicista nato e cresciuto a Southwark, lungo la sponda sud del Tamigi, a Londra, ripresentano quel sound indefinibile che caratterizza lo stile di King Krule: per alcuni jazz, per altri indie, per altri industrial, per altri hip hop, per altri ancora niente di tutto questo o forse tutto questo messo insieme. Osannato dalla critica, meno amato dal pubblico, se non altro perché la sua proposta è difficilmente collocabile a livello mainstream, Archy Marshall torna per confermarsi il più anticonformista dei cantautori britannici degli ultimi dieci anni.

Lo “spazio” del titolo è quello che divide Londra e Liverpool, città tra le quali King Krule ha fatto la spola in questi anni: “Space heavy” è stato scritto tra il 2020 e il 2022 e ha preso forma nel corso dei vari spostamenti. Prodotto da Dilip Harris, braccio destro di Marshall dai tempi di “The Ooz” (che gli aveva permesso di ottenere una nomination ai prestigiosi Mercury Prize), e che prima di lavorare con il musicista londinese aveva avuto a che fare con - tra gli altri - A Tribe Called Quest, Paul Weller e Blur, “Space heavy” è una sintesi dei lavori pubblicati da King Krule fino ad oggi. Dalla tavolozza sonora mutevole di “The Ooz” a quel modo crudo e naïf di raccontare la vulnerabilità di “You heat me up, you cool me down”, passando per la primordialità sonora di “Man alive!”.



Il primo singolo dell’album, “Seaforth”, è stato accompagnato da un video musicale diretto dall’artista visiva e collaboratrice Jocelyn Anquetil, che trasporta gli spettatori nella mente addormentata di King Krule per immergerci nelle avventure di due golden retriever, un padre e il suo cucciolo. Tra lo-fi, industrial e cool jazz, assoli di sassofono - come su “That is my life, that is yours” - e fabbrili riff di chitarra, i quindici brani dell’album rappresentano bene l’eclettismo di King Krule.



“Ciao, il mio nome è Archy, ho 14 anni e vengo da Londra. Suono la chitarra e a volte le tastiere”, raccontava in un video del 2008, tornato a circolare sui social, tanto da diventare virale tra i fan e gli appassionati del circuito indie britannico, intervistato dagli operatori di un Contest organizzato dalla Rough Trade al festival di Glastonbury. Quindici anni dopo, quel ragazzino - che arriverà in tour in Italia il 4 novembre, per una data sul palco del Club To Club di Torino - è uno dei talenti più puri della new wave britannica. Nel video di “(Don’t let the dragon) Draag on”, ai tempi di “Man live!” era legato a un palo e bruciava su un rogo come uno stregone eretico o un anticristo. Un immagine che ritraeva bene il ruolo che ricopriva nella scena cantautorale britannica, l’antitesi di Ed Sheeran e dei suoi cloni, un alchimista di stili che concepisce le sue canzoni come pozioni allucinogene piuttosto che come filtri d’amore per far perdere la testa a migliaia di ragazzine.

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