Elio: “Canto Jannacci per ‘vendicarlo’”

L’artista è in tour con “Ci vuole orecchio”: “Per me è al pari di Faber e Dalla”.

Un Buster Keaton della canzone, nato dalle parti di Lambrate, viene rivisitato, interpretato e cantato da Elio. Non solo, viene anche “vendicato”. No, Elio non indosserà una tuta gialla aderente e non imbraccerà una katana alla “Kill Bill” di Tarantino. Anche se sarebbe molto divertente. L’unica arma a disposizione dell’artista dalle folte sopracciglia è un microfono. “Ci vuole orecchio”, lo spettacolo dedicato a Enzo Jannacci, che segue quello di successo su Giorgio Gaber, da tempo sta impegnando il leader della band Elio e le Storie Tese, regalandogli molte soddisfazioni nei principali teatri italiani. Ed è uno show che nasce da un preciso desiderio.

In Italia c’è un pregiudizio: chi fa ridere è un artista minore. Non è così. Il motivo per cui ho deciso di portare Jannacci a teatro è proprio quello di abbattere quel pregiudizio, voglio vendicarlo – racconta Elio - in un primo momento, in realtà, l’ho fatto anche per egoismo: volevo cantare le sue canzoni. Lo ammetto. Quando arrivò sulle scene in molti non lo capirono, lo consideravano una sorta di cretino che faceva canzoni surreali, invece io penso che sia fra i più grandi. È insieme a Lucio Dalla, Fabrizio De André e Giorgio Gaber”.

Jannacci è stato l’artista che meglio di chiunque altro ha saputo raccontare la Milano delle periferie degli anni ‘60 e ‘70, trasfigurandola in una sorta di teatro dell’assurdo realissimo e toccante, dove agiscono miriadi di personaggi picareschi e borderline, ai confini della fantascienza. “Roba minima”, diceva Jannacci: barboni, tossici, prostitute coi calzett de seda, ma anche cani coi capelli o telegrafisti dal grande cuore. “Quella voglia di raccontare la realtà, con una risata a fare da antidoto, non c’è più. Questo perché la società è radicalmente cambiata rispetto a quegli anni – ammette Elio - siamo andati indietro, non avanti. E per me buona parte delle responsabilità di questo arretramento ce l’hanno i social. Oggi l’ironia è usata sui social per attaccare le persone oppure, quando è intelligente, c’è il conformismo a frenarla, a spegnerla, mettendo all’indice chi ne è portatore”.

Immerso nella coloratissima scenografia disegnata dal regista Giorgio Gallione, Elio, con gli arrangiamenti di Paolo Silvestri, è sul palco insieme a cinque musicisti, i suoi stravaganti compagni di viaggio, che formano un’insolita e bizzarra carovana sonora: “Silvano”, “Sopra i vetri”, “Aveva un taxi nero”, “El portava i scarp del tennis”, “Quando il sipario calerà” sono solo alcune delle tappe del viaggio. “Una volta ci siamo incrociati negli studi Rai. Jannacci ha bofonchiato qualcosa, io pure, lui non ha capito, io nemmeno. Sono un timido. Mai avrei avuto il coraggio di dirgli ‘sono un tuo fan’ – ricorda Elio - Questo è il solo contatto che ho avuto con Enzo Jannacci. Ma una curiosità c’è: mio papà era stato suo compagno di classe, me ne parlava, me lo faceva ascoltare e mi faceva ridere. Da adulto mi ha affascinato la dignità del comico che ha portato nella canzone d’autore e lo stile surreale della sua risata, che poi era il clima del Derby, il cabaret di Milano”. Jannacci è stato un padre naturale di una band come Elio e le Storie Tese. “Lui era laureato, io anche. Lui era diplomato in pianoforte, io in flauto. Anche io, come lui, sono sempre stato attratto dagli infelici – conclude - per una vita, fra i punti di riferimento, ho sempre guardato a Frank Zappa senza rendermi conto che ancora prima di lui c’era Enzo Jannacci”.

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