Nella musica di oggi uno come lui, che mosse i suoi primi passi nel mondo della musica suonata all’inizio degli Anni ’70 da tastierista della band prog rock dei Ping Pong, prima di intraprendere un decennio dopo quell’attività da arrangiatore e produttore che lo avrebbe portato a mettere il suo zampino in alcuni dei dischi più iconici della musica pop-rock italiana degli ultimi quarant’anni (da “Catene” di Mina a quelli incisi da Vasco dall’’89 ad oggi, passando per “La vita è adesso” e “Oltre” di Claudio Baglioni, “Terra promessa” di Eros Ramazzotti, “Il mare calmo della sera” di Andrea Bocelli, “Strano il mio destino” di Giorgia, “Resta in ascolto” di Laura Pausini), fa fatica a riconoscersi. Celso Valli non lo nasconde: “È normale sia così. Appartengo a un’altra epoca della discografia. Per fare certi dischi ci ho messo anche tre anni, mica due mesi come fanno i produttori di oggi. Però non voglio fare il nostalgico. Prendo atto dei cambiamenti. E penso che in fondo sia tutto ciclico: prima o poi tornerà la musica davvero suonata”, dice. A 72 anni ha deciso di farsi un regalo, incidendo un disco tutto suo, da artista. È la prima volta, in oltre cinquant’anni di carriera. Si intitola “Sette canzoni al piano” ed è appena uscito: “È un’autobiografia in musica, un progetto di cui magari nessuno sentiva il bisogno, ma io sì – racconta – dopo tutti questi anni passati dietro le quinte mi sono detto che in fondo non c’era niente di male a incidere un disco tutto mio, mettendoci la faccia”.
Bolognese, classe 1950, il “Maestro” Celso Valli, come lo chiamano i suoi collaboratori e i suoi allievi (insegna composizione, arrangiamento e produzione musicale al Conservatorio Giovanni Battista Martini, lo stesso che frequentò da ragazzo nella Bologna degli Anni ’60), sottolinea con l’album la sua distanza dalle nuove generazioni di musicisti. Non solo a livello anagrafico e generazionale. Ma anche e soprattutto a livello culturale: “Non sono un trombone, uno che si rifiuta di riconoscere l’importanza e la valenza delle novità. Sono attento all’innovazione. La musica, per dire, l’ascolto sulle piattaforme di streaming, però nella mia libreria digitale c’è per lo più musica jazz, una mia passione da sempre. E i brani contenuti in ‘Sette canzoni al piano’ li ho pensati appositamente per l’ascolto spaziale con Dolby Atmos. Ho creato un’architettura musicale che mischia ispirazione classica e sofisticata tecnologia”, spiega.
Valli ha iniziato a lavorare ai brani strumentali – scritti seguendo la forma canzone tradizionale, da qui il titolo, ma non cantati – poi inclusi nell’album, da “2 gennaio” a “Il settimo piano”, passando per “A casa di Bice”, “Chiaro e scuro”, “Strade”, “Da lontano” e “L’ape sul piano”, durante il primo lockdown: “Mi sono lasciato guidare dal desiderio di fare per una volta qualcosa di mio che non prevedesse la partecipazione di un artista. All’inizio ero un po’ titubante all’idea di pubblicare l’album. Avevo pensato di farlo uscire sotto pseudonimo”. Poi si è detto: “Ma che male c’è se per una volta faccio anche io il fenomeno?”. “Non aveva senso, farlo uscire con un nome diverso dal mio. Con questi pezzi mi sono raccontato attraverso le note, trasmettendo qualcosa di me. In cinquant’anni di carriera non lo avevo mai fatto”. Ha registrato l’album mentre lavorava con Vasco Rossi ai brani di “Siamo qui”, l’ultimo disco di inediti del rocker di Zocca, uscito l’anno scorso dopo un’attesa durata sette anni: “Non l’ho fatto ascoltare a nessuno, questo disco. Volevo evitare che gli artisti con i quali collaboro abitualmente si sentissero in dovere di contribuire in qualche modo. Ora però farò il giro delle sette chiese per farlo ascoltare a tutti, Vasco in primis. Sette canzoni per sette chiese (ride)”.
Tra i produttori italiani stima Michelangelo, l’uomo dietro al sound tra passato, presente e futuro di “Brividi” di Mahmood e Blanco: “Con quel pezzo ha fatto qualcosa di interessante, mischiando lo stile classico e quello contemporaneo. È una ballata tradizionale e furistica al tempo stesso. Appena l’ho ascoltata in tv al Festival di Sanremo ho detto: ‘Vinceranno loro’”. Tra i protagonisti del pop apprezza Marco Mengoni: “La sua voce ha venature soul interessanti”. Sulla scena rap è meno ferrato: “Thasup? Non lo sconosco. Marracash, Rkomi e Lazza? Mi affascinano e mi incuriosiscono anche. Però preferisco i rapper americani: hanno sempre avuto una marcia in più”.