Prince si è reincarnato in Steve Lacy
Di avere un grosso debito, a livello artistico e culturale, nei confronti di Prince, Steve Lacy lo aveva dichiarato già ai tempi di “Playground”, il singolo che nella primavera del 2019 anticipò l’uscita del suo album d’esordio “Apollo XXI”: “L’ho scritta nella mia fase Prince. Ero tutto per Prince. Mi è venuto quel riff, poi quell’hook. Ho scritto i versi in un mese. Mi sono letteralmente aggrappato a quell’hook”, raccontava nelle interviste di quel periodo. Ad ascoltare il nuovo album, “Gemini rights”, in più di un passaggio si ha davvero l’impressione che il folletto di Minneapolis si sia reincarnato in questo ragazzo di 24 anni che ha lo stesso nome di uno dei più grandi sassofonisti della storia del jazz, scomparso nel 2004, quando il suo omonimo aveva appena 6 anni e cominciava a interessarsi alla chitarra grazie a “Guitar Hero”, prima di avvicinarsi – che strano, il destino – anche lui al jazz. Soprattutto nei pezzi più vicini al soul e all’r&b, da “Buttons” alla bellissima “Amber”, in cui Steve Lacy sembra richiamare Prince non solo nell’assoluta libertà con cui spazia tra i generi, abbattendo le barriere che li dividono, ma anche nel timbro, con quel falsetto ipnotico che svetta su un assolo di chitarra elettrica.
Cantante, compositore, produttore. In una sola parola: musicista. Steve Lacy, cresciuto a Compton, in California, solo dalla madre (origini africane – il padre, invece, era filippino, ma morì quando Steve aveva solamente dieci anni), è un artista completo. Il suo talento, in questi anni, ha conquistato non pochi colleghi della scena hip hop e r&b contemporanea statunitense, da Solange a Kali Uchis, passando per Mac Miller e Dev Hynes. Kendrick Lamar gli ha fatto produrre “Pride”, uno dei pezzi del suo album “Damn”, vincitore del Grammy Award nel 2018 come “Best Rap Album”. Due anni dopo Steve avrebbe visto comparire il suo nome nella cinquina dei pretendenti per il premio “Best Urban Contemporary Album” con “Apollo XXI” (la stessa statuetta che aveva rischiato di vincere già nel 2015 con la sua band, The Internet): ebbe la meglio Lizzo con il suo “Cuz I love you”.
Lacy non si è dato per vinto: ha continuato a lavorare a testa bassa, conquistando pezzo dopo pezzo un pubblico sempre più vasto. E la critica internazionale, che lo osanna: “È uno dei cantautori più originali e singolari della sua generazione. I confronti con lo Stevie Wonder dei primi Anni ‘70 e con il Prince dei primi Anni ‘80 non sono validi: Lacy dipinge con colori che è lui stesso a mescolare”, ha scritto l’autorevole quotidiano britannico The Guardian in un lungo pezzo dedicato al musicista.
“Gemini rights”, trainato dal singolo “Bad habit”, 70 milioni di ascolti a livello mondiale su Spotify, ha esordito al settimo posto della Billboard 200, la classifica settimanale relativa ai dischi più popolari negli Usa. Scritto, prodotto e interpretato interamente da Steve Lacy, “Gemini rights” è un album schietto, sexy, esilarante (in “Static”, dedicata all’ex fidanzata, canta “Baby you got somethin’ in your nose / sniffin’ that K, did you fill the hole?”), gender fluid (nel 2017 si è definito bisessuale) e anche malinconico. Ora lo aspettiamo in tour, anche in Italia.