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Mace è la dipendenza di cui tutti avremmo bisogno

Un live a Milano con un mare ospiti, un nuovo disco strumentale e una missione: unire con la musica.
Mace è la dipendenza di cui tutti avremmo bisogno
Credits: Asia Michelazzo

C’è una fotografia che più di tutte racconta la visione della musica di Mace: lui, dopo un concerto dai mille colori e suoni, che abbraccia, uno per uno, tutti gli ospiti che hanno calcato il palco del Fabrique di Milano e ogni componente della band che lo ha accompagnato. “Le cose belle si fanno insieme e per farle bisogna circondarsi di persone con energie positive”, dice il produttore, uno sciamano capace di far viaggiare il pubblico pur restando fermo. Musica come condivisione ed esperienza, come forza primordiale capace di far emergere le doti e i valori del singolo all’interno di una collettività: eccola lì, sparata in faccia, la magia del suono che fa vibrare i corpi. Il risultato finale è un abbraccio senza barriere fra chi suona e chi ascolta. È questa la dipendenza, sana, di cui tutti, dopo due anni di isolamento fisico e mentale, abbiamo bisogno.

Champions League della musica italiana

In scaletta ci sono i successi di “Obe”, album capace di lasciare un segno profondo nella musica degli ultimi anni, ma anche momenti di estasi elettronica in cui le parole si sgretolano e la musica è libera, fa ballare e regala visioni. Per realizzare il viaggio, Simone Benussi, questo il suo vero nome, al Fabrique ha radunato un numero record di ospiti, dodici, dando subito una portata storica alla serata: Venerus, Irama, Izi, Jack the Smoker, Gemitaiz, Joan Thiele, Rkomi, Ernia, Noyz Narcos, Colapesce, Samurai Jay e Salmo. Una Champions League della musica italiana dove non c’è competizione, ma passione comune e unione.

“Quando stavo lavorando a ‘Obe’ non riuscivo a dormire durante la notte perché temevo che nessuno avrebbe mai ascoltato queste canzoni”, confida Mace davanti a un pubblico sudato, che raggiungerà il delirio festoso sul brano “La canzone nostra”. Un pezzo arrivato nei club, nelle case delle famiglie, nelle scuole, in radio: quando succede questo, in una società liquida in cui nulla rimane, vuol dire che si è raggiunta la vetta più alta. Lo spessore del live è direttamente proporzionale all’altissimo livello della band: Fabio Rondanini alla batteria, Enrico Gabrielli, sax e tastiere, Danny Bronzini alla chitarra, Marco Castello, tromba e percussioni, Ricky Cardelli, basso e tastiere, Tahnee Rodriguez e Sewit Jacob Villa ai cori. Il tour è prodotto da Artist First. 

Il nuovo album

Intanto domani, venerdì 27 maggio, esce “Oltre”, il suo nuovo progetto strumentale composto da undici tracce fra psichedelia, contemplazione ed elettronica. Riparte da dove lo avevamo lasciato: “Hallucination”, l’ultima traccia di “Obe”, è la porta d’ingresso di “Oltre”. “Dopo il successo di ‘Obe’ mi sono preso la libertà di esplorare un approccio diverso, con l'obiettivo di mettere al centro immaginazione e sinestesia in un modo che solo la musica strumentale è in grado di regalare – dice l’artista - pur essendo denso di ritmo ed energia, il disco è la fotografia del profondo viaggio interiore, guidato da esplorazioni psichedeliche e da una contemplazione romantica della natura”.

L’architrave è la prima traccia, “Breakthrough Suite”, una suite di venti minuti in continuo mutamento che esplora diversi strati di realtà, un cortometraggio tradotto in musica che descrive una out of body experience attraverso decine di strumenti e impressioni sonore: dal sitar indiano all’arpa, dal violino ai synth modulari. Come uno psiconauta, il produttore e compositore ricerca per se stesso e per chi lo ascolta, le chiavi per accedere a dimensioni inedite. “Per me la musica, sia quando parliamo di un disco o di un concerto, non può essere solo ‘ascolto’, deve coinvolgere più sensi e avvolgere totalmente”, continua. 

La melodia

“Oltre” è un diario di viaggio, un labirinto sonoro sospeso dove perdersi. “Un luogo che a volte è quiete, a volte è impeto, come la natura”, aggiunge Mace. I dischi strumentali all’estero hanno anche la forza di arrivare primi in classifica, basti pensare ai Bicep, mentre in Italia sono degli unicum. C’è un gusto italiano in “Oltre”? “Il mio rapporto con l’Italia è strano, ho vissuto tanto all’estero, in passato sono arrivato perfino a odiare un certo tipo di musica italiana, io non ho mai voluto ricalcarla – ricorda Mace – tutto quello che realizzo, certamente, ha più un’influenza che arriva da fuori. In ‘Oltre’ c’è in primis un mio tocco, poi se dovessi interrogarmi su quale aspetto del sound italiano porto con me, forse, risponderei il gusto per la melodia. È difficile che produca musica ‘estrema’, priva totalmente di melodia”. In alcune parti sembra di sentire l’eco di Jon Hopkins. “Ne riconosco la grandezza, ma non è uno dei miei artisti preferiti – ammette Mace – in realtà amo tanti suoni diversi. Fra questi ci sono quelli della musica contemplativa del Sud America”.

Osare e ignorare il pubblico

Mace avrebbe potuto, sull’onda di successi come “La canzone nostra” con Salmo e Blanco, pezzo con cui ha sfondato nel mainstream come un carrarmato, rimanere su quella strada, sicura e già tracciata. E invece ha deciso di proseguire ancora il suo viaggio di sperimentazione, di andare oltre, per l’appunto. “Ignorare il pubblico, per me, è il più bel regalo che si possa fare all’ascoltatore – sottolinea – in Italia vedo tantissimi artisti che, una volta raggiunto un minimo di successo con un certo tipo di musica, difficilmente si distaccano da quell’approccio. Non si osa quasi un cazzo. Il discorso va esteso a più generi, dal pop al rap, è un problema ampio. È anche comprensibile, sia chiaro. Ma per me non funziona così: nel momento in cui si asseconda il pubblico, si perde, o meglio non ci si evolve. Non capisco chi produce musica pensando al target, al genere, alla playlist in cui potrebbe finire. Nel lungo periodo le scelte personali penso possano ripagare: facendo quello che si sente davvero, si porterà dalla propria parte un ascoltatore interessato e non chi segue il suono del momento”.

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